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Cardinal Angelo Bagnasco – Conclusions

31 March 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 31.03

Cari Confratelli
Cari Giovani

  1. L’educatore

Siamo giunti a conclusione di questi giorni intensi, fatti di preghiera, riflessione, ascolto, dialogo su tematiche che toccano la vita dei giovani, ma – se permettete – anche degli adulti e di noi Pastori. Infatti, ed è questa la mia prima considerazione, la realtà dei giovani chiama in causa gli adulti che hanno, verso le nuove generazioni, delle responsabilità gravi. Non dimentichiamo, infatti, che la prima domanda che ogni educatore – genitori, sacerdoti, maestri…- deve farsi davanti ai giovani, non è “che cosa posso fare per loro?”, bensì “chi sono io?”: così si esprimeva il teologo italo tedesco Romano Guardini, docente universitario e grande grande formatore della gioventù. Se, infatti, educare significa che io do a quest’ uomo coraggio verso se stesso, che lo aiuto a conquistare la sua libertà, che lo introduco nella vita perché sia vivo e non un fantasma, allora comprendiamo che la formazione non è questione principalmente di discorsi, esortazioni, richiami, stimoli, metodi: tutto ciò è necessario ma non è ancora il fattore originale. La vita, infatti, viene destata solo con la vita, la luce con la luce, la libertà con la libertà, l’amore con l’amore! Allora, la prima domanda ricade su di me che ho un compito formativo, e pertanto devo chiedermi se sono un uomo vivo, libero, se la mia persona, più che essere efficiente, irradia, è luminosa, e quindi benefica per chi si avvicina.

Se è vero che ogni età chiede lo scalpello o il cesello educativo, è anche vero che le generazioni più adulte hanno maggiori responsabilità verso i più giovani: nessuno è mai “arrivato”, ma gli adulti devono avere qualcosa da dire di vero e di bello, di serio e di buono, a chi si trova all’inizio della parabola: qualcosa da dire con le parole e da testimoniare con i fatti. Se questo non fosse, avrebbe – l’adulto – perso anni che non torneranno.

Non pretendo ora di tirare delle conclusioni vere e proprie, ma presento alcune considerazioni che spero utili per incorniciare – se possibile – l’affresco di questi ricchi giorni che abbiamo vissuto con la vicinanza paterna del Santo Padre Francesco che – tramite il Segretario di Stato S. Em. il Card. Pietro Parolin – ha espresso con un Messaggio incoraggiandoci a “condurre una riflessione sulle sfide dell’evangelizzazione e sull’accompagnamento dei giovani affinché (…) siano portatori convinti e della gioia del vangelo in tutti gli ambiti”.

  1. Educare

Torno sulla straordinaria avventura educativa che chiamiamo “accompagnamento”. Ho già accennato che il primo soggetto chiamato in causa è l’educatore. Vorrei però precisare la natura del processo educativo. Sopra ho accennato al percorso educativo come cammino di libertà, di amore, di luce: sono immagini evocative, ma vorrei ora dire in forma più globale che educare significa aprire alla vita, incontrarla e dialogare con lei.

Che cosa significa?

Ogni giorno la vita ci viene incontro attraverso le cose che prevediamo nel programma di lavoro o di studio, e attraverso le molte cose che non possiamo prevedere, e che riguardano la nostra vita esteriore o il nostro mondo interiore, come sentimenti, impulsi, sensazioni, pensieri, cambiamenti…cose piacevoli o dolorose, successi o sconfitte, gioie e paure. Dobbiamo incontrare la vita ogni giorno, guardarla in faccia come si presenta, senza fughe, illusioni o pretese: accoglierla così com’è. Accoglierla significa corrisponderle, portare qualcosa di mio, anzi portare me stesso con il mio essere unico, per far diventare le giornate e gli eventi non un peso che mi capita addosso e che devo subire passivamente, ma qualcosa di personale che faccio mio, che abbraccio e che mi appartiene: la mia storia. E’ questa la maturità umana che anche la fede cristiana ci chiede. Ed è questa serietà che porta la gioia o, comunque, serenità e pace. In sintesi, educarsi e educare è trasformare la vita che ci è data con la sovrana libertà di Dio Creatore, in un capolavoro della nostra libertà. Spesso il Papa ha ricordato che la vita è un dono donato e da donare sempre. Per dialogare con la vita, però, è quanto mai utile dialogare con qualcuno che ci accompagna e, come Gesù, ci ascolta, ha pazienza, sa attendere, ci dà fiducia, ci benefica con la sua luminosità spirituale, ci parla con le parole di Dio, ci offre i sacramenti della salvezza, non ci lega a sé.

  1. Il grande Maestro

E’ Cristo il Maestro dei maestri così come è il Pastore dei pastori: a Lui tutti dobbiamo guardare e soprattutto rivolgerci con insistente e costante preghiera. perché egli operi nelle anime ciò che Lui vuole, non le nostre piccole idee. Egli, all’inizio della sua missione, sceglie dodici uomini e li forma per farne degli Apostoli. Erano uomini adulti, avvezzi ad una vita di sacrificio e di responsabilità. La vita li interpellava ogni giorno ed essi rispondevano alle sue chiamate: il lavoro, la famiglia, gli amici, la fede ebraica, la società di appartenenza, il villaggio… Ogni giorno incontravano provocazioni che mettevano a prova e insieme arricchivano la loro umanità di uomini e di credenti. Gesù si inserisce nella loro vita, e quella vita l’avrebbe cambiata alla radice, ne avrebbe fatto dei testimoni: da quel momento, i Dodici sarebbero stati segnati da accoglienza e insuccessi, gloria e tradimenti, lusinghe e persecuzioni. Il Maestro voleva formarli, educarli a vivere della loro vocazione, cioè dentro a quel rapporto personale che la chiamata di Gesù – “seguimi” – aveva creato per sempre, e che avrebbe definito, prima ancora che il loro agire, il loro stesso essere. Voleva formarli perché incontrassero la loro nuova vita e lì inserissero la loro umanità, lì giocassero tutto il loro cuore.

Ma come? Basta scorrere i Vangeli e vediamo che la scuola di Gesù è fatta di parole e di silenzi, di gesti quotidiani e di miracoli, di rimproveri e di tenerezza, di esigenza e di pazienza, di fatica ed i festa, di preghiera e di dialogo, di compagnia e di solitudine, di prossimità e di distanza. Ma sempre e comunque d’amore e di fiducia verso questi poveri uomini, semplici quasi tutti incolti, che si sono trovati all’improvviso in un’avventura più grande di loro. Le parabole e i grandi discorsi sulla montagna o in riva al mare, i miracoli, la gloria di Gerusalemme e l’abiezione dolorosa del calvario, l’intimità misteriosa del cenacolo, l’alba della risurrezione e il distacco fisico dell’ascensione al cielo, la Pentecoste…tutto era grazia di salvezza per il mondo e, per loro, anche cattedra che li educava ad un nuovo futuro. Nessuna pagina, nessuna parola, nessun gesto del Signore può essere taciuto: il Vangelo è da avvicinare “sine glossa” come raccomandava San Francesco e avendo nel cuore le lucide parole del beato Paolo VI: “Molti, anziché convertire il mondo a Cristo, hanno convertito se stessi al mondo”. Gesù è dunque il Maestro perfetto, ma anche il modello pieno e affascinante da guardare per educare e per educarci: è l’unità di misura dell’umanesimo come ha ricordato il Santo Padre al Convegno ecclesiale della Chiesa Italiana a Firenze nel 2015. In Lui, vero Dio, scopriamo anche il volto dell’uomo completo, tanto che Pilato fu, senza saperlo, profeta quando lo presentò al popolo e disse: “ecce homo!”. Ma questo sarebbe ancora troppo poco, o forse troppo arduo e disperante, se nello stesso tempo non trovassimo in Lui la sorgente della forza e della grazia senza la quale non possiamo far nulla. In Gesù risplendono tutte le virtù umane in forma eminente, risplende la piena umanità dell’uomo, quell’umanità che la nostra epoca rischia di non più riconoscere riducendo la persona ad una forma liquida, ad un’impronta sulla sabbia come dice M. Foucauld, annunciando così la morte dell’uomo.

  1. La cultura del nulla

La cultura contemporanea sembra non aver nulla da dire ai giovani, nulla di significativo che scaldi il cuore e riempia la vita. Ciò nonostante, contiene una opportunità che non dobbiamo perdere: quella di pensare e scegliere. In una cultura fluida ognuno è chiamato a riflettere: può rinunciare a farlo, adeguandosi al pensiero unico, oppure può ascoltare le voci profonde dell’anima, e allora giunge alla spiaggia della verità e del bene, giunge facilmente a Dio: oggi – possiamo dire – si crede poco perché si pensa poco, e Sant’Agostino dice che “la fede se non è pensata è nulla”!

Il potere, quando si pensa non come servizio ma come dominio degli altri, vede il pensare come un pericolo, un attentato. E allora, come la storia del secolo scorso insegna, mette in atto ogni forma possibile di distrazione: il mito del successo e dell’apparenza, il consumismo che consuma l’anima, la felicità come soddisfazione immediata ed effimera, l’autonomi assoluta che svuota il mondo interiore e impedisce di costruire sulla solida roccia. La cultura del nulla di valori e di ideali, è incapace di offrire ragioni per vivere, non vede il senso della vita e del mondo. Il collettivismo materialista e l’individualismo consumistico sono due forme di totalitarismo: entrambi – per vie diverse – annullano la persona e ne fanno un’isola. Illudono in modi diversi, ma il risultato è identico: una angosciante solitudine. Quando la società, anziché essere una comunità di vita e di destino, è una moltitudine di individui separati tra loro, preoccupati solo di se stessi, allora il potere di turno manipola meglio e gli affari di pochi prosperano. Senza contare che il vuoto spirituale chiede di essere riempito, e facilmente subisce la perfida suggestione di ideologie che si presentano forti e mortali. Dicevo che un’opportunità del tempo presente è la provocazione a pensare e a scegliere: scegliere chi essere e come vivere, chi sono gli altri e quali rapporti stabilire, chi è la società e il senso del tempo, da dove veniamo e verso dove stiamo andando insieme all’umanità, quale ruolo avere oltre che nella vita privata anche nella storia, se solo credere in Dio oppure anche vivere con Dio. L’incontro con Gesù redime dal peccato, dona la vita di Dio, trasfigura, immette nel cuore una passione d’amore per Dio tale da attraversare le sofferenze abissali e le miserie “imperdonabili” dell’uomo.

  1. La richiesta dei giovani

Il cuore dei giovani – nonostante rappresentazioni oscure e dolorosi fatti di cronaca – sembra palpitare in modo diverso: parla la diffusa inquietudine che – al di là di problemi contingenti come la difficoltà di trovare lavoro, la difficoltà di farsi una famiglia pur desiderata non poco – svela la nostalgia verso una pienezza che sfugge agli esami più sofisticati: sfugge perché il sofisma complica ciò che è semplice. Si tratta, infatti, di un’inquietudine non contingente ma radicale, che accompagna il cuore in qualunque situazione come una ferità salata, come una freccia puntata verso un obiettivo che sente essere il suo, ma che può solo attendere e invocare come dono dall’Alto. Il giovane desidera interpretare questa permanente ferita che lo fa sentire incompiuto, perenne inquilino di una linea di confine fra due sponde, il finito e l’infinito, il tempo e l’eterno. Ha bisogno di sentirsi accompagnato sulla terra sconosciuta dei significati e del senso della realtà di cui lui è la punta infuocata (T. de Chardin). Aspetta che qualcuno si accorga delle sue insicurezze che, prima di essere psicologiche, sono strutturali o ontologiche, cioè appartengono alla condizione di ogni persona. Intuisce che ciò deve avere un significato, deve contenere un messaggio, ma l’avverte come un labirinto sconosciuto, e cerca qualcuno che gli dica una parola. Su questo incrocio i giovani devono incontrare delle persone significative, dei padri.

Anche un altro equivoco oggi diffuso può ghermire l’età giovanile, quello di credere che il numero delle esperienze è la misura della qualità della vita e della maturità della persona. Da questa bugia nasce l’insoddisfazione in chi non può permettersi tutto questo, e facilmente sgorga il sentimento dell’invidia e del sordo risentimento, che fa dimenticare ciò che si ha, pensando continuamente a ciò che manca. Bisogna però ricordare che non è la quantità della cronaca che costruisce l’uomo, ma la elaborazione di ciò che si è visto, delle esperienze che si vivono. Non è dunque l’estensione che costituisce il senso della vita, ma l’intensità, la forza del vissuto: la vita non è un esperimento. Concepirla così significa non prenderla sul serio, non stimarla, e come diceva secco Leonardo da Vinci: “Chi non stima la vita non la merita” (Scritti letterari).

Un altro aspetto che il giovane, e non solo, spera di decifrare è la diffusa fragilità che insidia tutti, ma innanzitutto i più giovani. Fragilità che si manifesta nella insofferenza davanti alle inevitabili difficoltà, insuccessi, delusioni anche affettive, incomprensioni che la vita comporta. Un elemento decisivo della formazione è, avvicinandosi l’età adulta, la formazione del carattere, il saper stare in piedi da solo. Il carattere non è un “carattere impossibile”, ma è la stabilità interiore della persona: non è rigidità e neppure sclerosi dei punti di vista e degli atteggiamenti, ma è la connessione del pensiero, del sentimento e della volontà con il proprio centro spirituale. Quando non è ancora chiaro e deciso il proprio centro spirituale, la persona ha la sensazione dello smarrimento, cioè della mancanza di sintesi che dà significato e direzione. Viene alla mente quanto scriveva Dietrich Bonhoeffer: “Noi cristiani dobbiamo tornare all’aria aperta, dobbiamo tornare all’aria aperta del confronto spirituale con il mondo” (Resistenza e Resa)

Il punto è scoprire il proprio centro interiore, è costruirlo pazientemente: attorno al centro spirituale la molteplicità fatta di pensieri, sentimenti, scelte, azioni…trova la propria unità e la necessaria, dinamica armonia. Per il cristiano, il centro non è un’idea, una sapienza umana, ma è Gesù sapendo che il cristianesimo non è l’evasione degli uomini nel mondo di Dio, ma l’invasione di Dio nel mondo degli uomini: e che soltanto se saremo toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini in ogni ambiente di vita. Al riguardo, è utile ricordare quanto Madeleine Delbrel, giovane convertita francese del secolo scorso, scriveva nel suo diario: confidava il timore che – nel tempo – il Vangelo venisse “naturalizzato”, cioè gli si togliesse la linfa soprannaturale per ridurlo ad una sapienza umana, un messaggio di buon senso comune, svuotando così la croce di Cristo.

Cari amici, la nostra Europa è un continente straordinario: crogiolo di genti e di Nazioni, di storia e di cultura: è la sintesi di Atene, Gerusalemme e Roma. Il Vangelo è l’alveo fecondo che ha raccolto e portato a sintesi alta ogni altro contributo, e ha generato quell’umanesimo plenario che trova in Gesù la sorgente e il paradigma: “Non esiste umanesimo autentico – scrive il Santo Padre – che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale”. Ci fa bene ricordare anche quanto il maggiore pensatore ceco del XX secolo ha affermato: “Senza cura dell’anima come base spirituale l’Europa è morta e cade nuovamente nell’oblio” (Platone e l’Europa). Tocca a tutti noi – come comunità cristiana – prendere per mano questa grande Terra e farne una “casa di popoli”, dove il fondamento unitario non è da inventare da zero, ma esiste da millenni. Tocca a noi – di diverse generazioni – crescere, per fare crescere la cultura e la civiltà umanistica che è un dono per tutti, ricordando le parole di T.S. Eliot:” Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura. E allora voi dovrete ricominciare faticosamente da capo e non potrete indossare una cultura già fatta. Dovrete attraversare molti secoli di barbarie” (Appunti per una definizione della cultura. Appendice: L’unità della cultura europea, in Opere 1939-1962).

Alle giovani generazioni guardiamo con grande simpatia e fiducia; a loro toccherà essere i nuovi evangelizzatori, convinti che evangelizzare significa annunciare Gesù e le implicazioni concrete del suo mistero che genera una vita buona.

Il nostro è un tempo meravigliosamente arduo, è l’ora che la Provvidenza ci ha dato, l’abbracciamo con fiducia e amore, ricordando quanto scriveva Sant’Agostino: “Vivete bene il tempo e lo cambierete; e se lo cambierete non avrete più da lamentarvi” (Discorsi 311, 8,8). Sì, lo vogliamo vivere bene cominciando a cambiare noi stessi, e aiutandoci gli uni gli altri. Grazie.

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CCEE’s Symposium on young people concludes in Barcelona

31 March 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | News Releases, 31.03

This morning saw the conclusion of the Symposium in Barcelona on accompanying young people, organised by the Council of European Episcopal Conferences (CCEE). The meeting, which began last Tuesday, 28 March, was attended by 275 experts from all over Europe who work for the Bishops’ Conferences in the various sectors linked with accompanying young people: Youth, Vocations, University, School and Catechesis. Along with interventions from experts in the area of accompaniment, there was an opportunity for exchanges of experiences and ‘good practice’ among the various movements present and European pastoral initiatives, as well as testimonies from young people.
The highlight of the liturgical celebrations was the Mass celebrated in the Basilica of the ‘Sagrada Familia’ yesterday afternoon, with the main celebrant Cardinal Bagnasco, President of CCEE. Immediately before the celebration, two experts in the work of Gaudí, the sculptor Etsuro Sotoo and the theologian Armando Puig, introduced those present to the path of beauty aimed at the evangelisation of young people, followed by a guided tour of the Basilica of the Sagrada Familia.

Looking towards the 2018 Synod on young people and vocations

This morning, the Archbishop of Barcelona, Mgr Juan José Omella Omella, presided at Mass and Lauds. During his homily, he thanked the speakers for their presence and their work and he invited participants to follow the model of Emmaus in accompanying young people, listening to them and recommending to them the following of Christ.

Cardinal Lorenzo Baldisseri, Secretary General of the Synod of Bishops, spoke in the first morning session, outlining the preparatory work on the Synod for young people and vocations which will be held in October next year. Explaining the synodal process and its various stages, Cardinal Baldisseri first recalled the publication of the Preparatory Document containing a questionnaire, which is addressed to the whole Church. According to the answers that will be given, the Synod of Bishops will elaborate the Instrumentum Laboris (Working Document) which will be offered to the Synod Fathers to serve as a basis of their discussions. Pending the working document, Cardinal Baldisseri announced that soon the Synod will make public a website address (www.sinodogiovani2018.va) containing a questionnaire addressed directly to all young people.
Subsequentlz, five participants – one for each pastoral area – reported on their experience during the Symposium whilst indicating some challenges.

Conclusions of the Symposium

The conclusions of the Symposium were then entrusted to the Archbishop of Genoa, Cardinal Angelo Bagnasco, President of CCEE, who focussed on the figure of the educator and his or her educative mission in the current context, characterised by a “culture of nothing”. According to the CCEE President, the Christian educator must above all look towards Jesus, the one and true teacher. If contemporary culture “seems to have nothing to say to young people, nothing significant which excites the heart and fills life”, then in the person of Jesus “all the human virtues shine out in an eminent fashion, the full humanity of the human person shines out, that humanity which our era risks no longer recognising, reducing the person to a liquid form”. The CCEE President ended the meeting with a final appeal to the youth of Europe: “We look to the young generations with great sympathy and trust; it will be up to us to be the new evangelisers, convinced that to evangelise today means teaching people the art of living! Our time is splendidly demanding, it is the time Providence has given us, let us embrace it with trust and love (…). Yes, we want to live it well starting by changing ourselves and helping each other”.

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Cardinal Lorenzo Baldisseri – Towards the Synod

5 April 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 31.03

ACCOMPAGNAMENTO DEI GIOVANI E VOCAZIONE:

VERSO IL SINODO 2018

Saluto cordialmente l’Eminentissimo Card. Angelo Bagnasco, Presidente della CCEE, gli Eminentissimi Cardinali ed Eccellentissimi Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e Religiose, Laici e carissimi giovani.

Ringrazio vivamente per il cortese invito a partecipare a questo Simposio sui giovani.

Mi congratulo per questa iniziativa in linea con il cammino sinodale che si è aperto da poco. Il vostro percorso, intrapreso circa due anni fa, che vi ha portato qui a Barcellona oggi attesta la piena e felice sintonia delle Chiese europee con le intenzioni del Santo Padre e con il cammino della Chiesa universale.

In questi giorni trascorsi ho potuto constatare il buono stile, l’accurata organizzazione e lo spirito ecclesiale dell’incontro.

Non posso nemmeno tacere la mia e nostra gratitudine alla Chiesa di Dio che è in Barcellona, che ci ha accolto in questi giorni e ci ha fatto sentire davvero in famiglia: ricca di storia e bellezza, ospitale e aperta, disponibile e generosa.

Grazie a tutti e a ciascuno di voi!

  1. Un Sinodo su “giovani, fede e discernimento vocazionale”

Papa Francesco, rivolgendosi recentemente ai giovani, così affermava: «Nell’ottobre del 2018 la Chiesa celebrerà il Sinodo dei Vescovi sul tema: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Ci interrogheremo su come voi giovani vivete l’esperienza della fede in mezzo alle sfide del nostro tempo. E affronteremo anche la questione di come possiate maturare un progetto di vita, discernendo la vostra vocazione, intesa in senso ampio, vale a dire al matrimonio, nell’ambito laicale e professionale, oppure alla vita consacrata e al sacerdozio» (dal messaggio del santo Padre per la XXXII GMG).

In queste parole possiamo trovare il nucleo ispiratore del prossimo Sinodo dei Vescovi. In primo luogo si tratta di interrogarci, come Chiesa, sulla vita reale dei giovani di oggi, che vivono in un tempo colmo di faticose sfide e ricco di importanti opportunità, con una particolare attenzione alla loro ricerca di senso e all’esperienza della fede. In secondo luogo, l’intenzione sinodale si deve sviluppare verso ciò che di più specifico caratterizza l’età giovanile, ovvero la questione dell’impostazione della propria vita adulta, che nel linguaggio biblico ed ecclesiale è da intendersi nell’ottica del “discernimento vocazionale”, perché è il momento privilegiato di ascolto attento del Dio dell’Alleanza, di dialogo autentico con la sua Parola e di risposta attiva alle sollecitazioni del suo Spirito.

La Chiesa, in sostanza, desidera abilitare ogni giovane a prendere coscienza che «io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo» (Evangelii gaudium, n. 273): da qui nasce la necessità di far luce sulla propria vocazione specifica, per mezzo del discernimento e attraverso l’accompagnamento, che hanno il compito di creare le giuste condizioni perché ogni giovane possa rispondere con gioia e generosità all’appello divino.

La prospettiva generale del Sinodo è quindi chiaramente “vocazionale”: uscendo dal circolo dell’autoreferenzialità narcisistica e mortifera del “chi sono io?” – che è certamente un tratto dominante della cultura globalizzata tardo moderna –, chiede alla Chiesa stessa e ad ogni giovane di entrare nel ritmo della più pertinente e decisiva domanda “per chi sono io?”. Essa apre il campo verso «l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» della vita nell’amore vero e nella gioia piena, che trova nella dedizione del Signore Gesù la sua radice, il suo fondamento e il suo compimento (cfr. Ef 3,18).

  1. Il processo sinodale e le sue diverse tappe

Vivere l’esperienza ecclesiale di un Sinodo significa prima di tutto metterci in movimento, abbandonando le nostre presunte sicurezze per camminare, lasciando che il Signore, attraverso il suo Spirito, ci conduca là dove egli desidera.

Il cammino, per essere fruttuoso, deve anche essere ordinato e sinergico. Per questo vi sono diversi momenti di coinvolgimento.

Dopo la scelta del tema sinodale, la Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, coadiuvata da alcuni esperti e con l’approvazione del Consiglio Ordinario della Segreteria del Sinodo (presieduto dal Santo Padre), ha redatto e reso pubblico il Documento Preparatorio, che è il primo momento importante del percorso: il compito di questo breve e incisivo testo è quello di interpellare la Chiesa universale nelle sue varie componenti. È da notare fin da subito che, per così dire, la “vocazione-missione propria” del Documento Preparatorio sta nell’interpellare, nell’interrogare, nel cercare di far emergere la situazione così com’è e di aiutare tutti e ciascuno a riflettere in profondità. Leggere questo testo cercando risposte pastorali, strategie operative o soluzioni immediate significherebbe sbagliare approccio.

Al termine del Documento Preparatorio c’è un Questionario. La compilazione di questo Questionario secondo le indicazioni date rappresenta la seconda tappa dell’itinerario sinodale, che si sta realizzando in questi mesi e durerà fino alla fine di ottobre. Essa interpella e riguarda tutte le componenti della Chiesa. Questa tappa non è una pura formalità, ma un autentico momento di ascolto e discernimento ecclesiale sui temi sinodali, guidato dalla saggia regola per cui «il tempo è superiore allo spazio» (cfr. Evangelii gaudium, n. 222-225). Le risposte che convergeranno alla Segreteria del Sinodo sono come la punta di un iceberg che, per potersi sostenere, ha la necessità di un laborioso impegno di confronto, approfondimento e condivisione intra ed extra ecclesiale. Di fatto la Chiesa si edifica attraverso processi virtuosi di crescita e di comunione.

In base alle risposte che perverranno, la Segreteria del Sinodo lavorerà per avere – presumibilmente entro la prima metà del 2018 – l’Instrumentum laboris (lo Strumento di lavoro), che sarà offerto ai Padri sinodali come base della discussione e del confronto che si terrà nel mese di ottobre del 2018.

Il risultato dei lavori sinodali verrà consegnato al Santo Padre. Nel dibattito sinodale certamente emergeranno diversi punti di vista, differenti impostazioni pastorali e strategie eterogenee a seconda dei diversi contesti, come è naturale che sia in un reale confronto di una Chiesa che è cattolica perché custodisce le sue differenze interne e mai cerca di omologarle, in quanto le considera un’autentica ricchezza. I frutti del lavoro sinodale esprimono la volontà di camminare insieme, affermano con chiarezza che «l’unità prevale sul conflitto» (cfr. Evangelii gaudium, n. 226-230), e che le nostre diverse vedute non sono superiori all’unità che si realizza nella fede che professiamo in Cristo Gesù e nel desiderio condiviso di vedere i nostri giovani felici nel tempo e nell’eternità. Al Santo Padre spetterà in ogni caso l’importante compito di fornire delle indicazioni con prudenza e sapienza, garantendo l’integralità della fede e dei costumi, e orientando la Chiesa tutta verso le più convenienti e opportune prospettive pastorali. In questa tappa è rilevante sottolineare quanto «il tutto è superiore alla parte» (cfr. Evangelii gaudium, n. 234-237), perché è sempre più vero, soprattutto oggi, che dobbiamo pensare con uno sguardo ampio e globale per poter agire adeguatamente a livello locale.

Inizierà poi la fase della recezione ecclesiale, ovvero della traduzione concreta nelle realtà educative e pastorali delle indicazioni che verranno date. Con la certezza di avere a bordo una mappa adeguata e aggiornata, sarà possibile l’affascinante e rischiosa navigazione nel mare aperto dell’universo giovanile.

Come si può vedere da questa semplice carrellata, siamo solo all’inizio! Non sappiamo ancora dove le varie circostanze ci porteranno, ma vogliamo con sincerità lasciarci ispirare dal Signore e ascoltare la sua voce con apertura e disponibilità, convinti che il vento dello Spirito «soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va» (Gv 3,8).

  1. I tre cardini del Documento Preparatorio

Soffermiamoci ora brevemente sul Documento Preparatorio nel suo insieme. Evidenzio alcune istanze emergenti che mi paiono importanti, offrendo qualche consiglio su come poter ben utilizzare ciò che avete tra le mani.

Il Documento Preparatorio è offerto a tutta la Chiesa; non ha la pretesa di essere esaustivo, ma si propone di orientare il discernimento specifico nei diversi contesti, e nel nostro caso in quello dei singoli Paesi europei. È decisivo lavorare a partire dalla convinzione che «la realtà è più importante dell’idea» (cfr. Evangelii gaudium, n. 231-233): la realtà concreta ci parla e ci istruisce, lì Dio è presente e operante. Le nostre idee hanno il compito di cogliere, comprendere e dirigere la realtà, mai di sostituirla!

La prima chiave di lettura è ravvisabile nell’invito al discernimento. Il tema del discernimento è in cima ai pensieri del Santo Padre, ed emerge fin dai primi documenti del suo pontificato. Lo ha ribadito nella sua recentissima visita a Milano quando, interloquendo con i sacerdoti e i consacrati, ha affermato: «I nostri giovani sono esposti a uno zapping continuo. Possono navigare su due o tre schermi aperti contemporaneamente, possono interagire nello stesso tempo in diversi scenari virtuali. Ci piaccia o no, è il mondo in cui sono inseriti ed è nostro dovere come pastori aiutarli ad attraversare questo mondo. Perciò ritengo che sia bene insegnare loro a discernere. […] Oggi i nostri fedeli – e noi stessi – siamo esposti a questa realtà, e perciò sono convinto che come comunità ecclesiale dobbiamo incrementare l’habitus del discernimento» (25 marzo 2017). Egli desidera una Chiesa che sa mettersi in discussione con franchezza, a partire dalla propria fede, che a ben vedere è inizialmente una “sottrazione di sicurezza”, perché ci chiede di abbandonare le nostre false certezze e di metterci con fiducia nelle mani di Dio: «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza» (Is 30,15).

Discernimento significa allora prima di tutto stare e mantenersi in ascolto, valutare tutto ciò che avviene nella vita del mondo e della Chiesa, sostare nelle feritoie della storia con vigilanza evangelica e attenzione profetica. Significa mantenere aperte le porte al Dio della tenerezza che agisce con insospettabile creatività nella storia, desideroso di prendere voce attraverso la parola dei piccoli e dei poveri. Soprattutto invita la Chiesa stessa ad imparare dai giovani e a chiedere loro «di aiutarla a identificare le modalità oggi più efficaci per annunciare la Buona Notizia» (Documento Preparatorio). Per entrare nel ritmo del discernimento è necessario farsi attenti alle persone concrete, che non solo sono automi replicanti a cui si chiede sottomissione. La pastorale, in questa prospettiva, non è una semplice “applicazione” di regolamenti o prassi fredde e burocratiche alla realtà delle persone, ma è frutto di un discernimento continuo fatto di ascolto, dialogo, confronto, progetto, verifica e rilancio.

La seconda chiave di lettura, il vero e proprio focus sinodale, è la vocazione. Il dono del discernimento, nei riguardi dei giovani, entra direttamente nella “questione vocazionale”, perché la caratteristica propria di quell’età della vita risiede precisamente nel coraggio di prendere in mano la propria esistenza non più come un semplice dono da ricevere, ma soprattutto come un compito da attuare. Infatti, avere il coraggio di osare sentieri nuovi, liberare con audacia la propria creatività, entrare sempre meglio nella logica del servizio, comprendere il modo migliore per stare al mondo, scoprire e far fruttificare i talenti ricevuti e vivere l’entusiasmo di un presente aperto al futuro sono i modi specifici della vita di un giovane. Nella fede cristiana tutto ciò non è riducibile semplicemente ad un “progetto” realizzato con le proprie forze e per il proprio tornaconto, ma fa appello ad una istanza trascendente, che è la voce di quel Dio amorevole che parla attraverso la storia degli uomini e gli avvenimenti della vita. Il discernimento vocazionale, allora, è quel «processo con cui la persona arriva a compiere, in dialogo con il Signore e in ascolto della voce dello Spirito, le scelte fondamentali, a partire da quella sullo stato di vita. […] Come vivere la buona notizia del Vangelo e rispondere alla chiamata che il Signore rivolge a tutti coloro a cui si fa incontro: attraverso il matrimonio, il ministero ordinato, la vita consacrata? E qual è il campo in cui si possono mettere a frutto i propri talenti: la vita professionale, il volontariato, il servizio agli ultimi, l’impegno in politica?» (Documento Preparatorio).

La terza chiave di lettura è quella dell’accompagnamento. È stato il tema del Simposio e certamente le riflessioni emerse saranno di ausilio per il cammino sinodale in atto. E di questo ringrazio vivamente.

Nel Documento Preparatorio si parla dell’accompagnamento alla fine della seconda parte, affermando che «si tratta di favorire la relazione tra la persona e il Signore, collaborando a rimuovere ciò che la ostacola. […] La guida spirituale rinvia la persona al Signore e prepara il terreno all’incontro con Lui» (Documento Preparatorio). L’accompagnamento è quindi sempre un percorso a tre: colui che viene accompagnato, colui che accompagna e il Signore Gesù, che ci ha promesso di essere con noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Viene dichiarato il triplice motivo della sua necessità: primo, l’azione misteriosa di Dio nel cuore di ogni uomo, che va adeguatamente interpretata; secondo, la fragilità della condizione umana e soprattutto il peccato, che inibisce la possibilità di un corretto e adeguato ascolto; terzo, la necessità di decidere, per non rimanere in uno stato di perenne dubbio e incertezza.

Per realizzare l’accompagnamento «non basta studiare la teoria del discernimento; occorre fare sulla propria pelle l’esperienza di interpretare i movimenti del cuore per riconoscervi l’azione dello Spirito, la cui voce sa parlare alla singolarità di ciascuno. L’accompagnamento personale richiede di affinare continuamente la propria sensibilità alla voce dello Spirito» (Documento Preparatorio).

Volendo tracciare il profilo ideale dell’accompagnatore o guida, il Documento Preparatorio evidenzia alcuni tratti caratteristici: lo sguardo amorevole, la parola autorevole, la capacità di “farsi prossimo”, la scelta di “camminare accanto” e la testimonianza di autenticità.

  1. La specificità del continente europeo

Come già evidenziato, nel Documento Preparatorio non si parla, se non per brevissimi accenni, dei diversi contesti. Solo nel Questionario ci si riferisce alle specifiche aree geografiche continentali, con tre domande apposite.

Quelle dell’Europa appaiono particolarmente significative, e conviene risentirle:

  • «Come aiutate i giovani a guardare al futuro con fiducia e speranza a partire dalla ricchezza della memoria cristiana dell’Europa?»;
  • «Spesso i giovani si sentono scartati e rifiutati dal sistema politico, economico e sociale in cui vivono. Come ascoltate questo potenziale di protesta perché si trasformi in proposta e collaborazione?»;
  • «A quali livelli il rapporto intergenerazionale funziona ancora? E come riattivarlo laddove non funziona?».

Ritengo utile offrire alcune riflessioni al riguardo.

A proposito della prima domanda, il Santo Padre, in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno (il 6 maggio 2016), si è chiesto: «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?». Queste domande sono per noi decisive, perché ci riportano ad un passato caratterizzato da tre capacità tipicamente “europee”, che oggi hanno bisogno di essere riscoperte: «La capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare» (ibidem).

La crisi demografica in atto nel Vecchio Continente e la sfida delle migrazioni interpellano più che mai la nostra capacità di accoglienza della vita, di dialogo e di integrazione. Ridare fiducia e speranza ai nostri giovani significa ricominciare a sognare con loro, partendo dalla buona memoria dell’Europa: «Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo» (ibidem).

«Quale cultura propone l’Europa oggi?», si chiede ancora Papa Francesco. E continua: «La paura che spesso si avverte trova, infatti, nella perdita d’ideali la causa più radicale» (Discorso ai capi di stato e di governo dell’Unione Europea in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma, 24 marzo 2017).

Per la seconda domanda suggerirei un passaggio dell’omelia del Santo Padre pronunciata il 31 dicembre 2016, dove egli afferma che «abbiamo creato una cultura che, da una parte, idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, ma, paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani». E continua: «Abbiamo privilegiato la speculazione invece di lavori dignitosi e genuini che permettano loro di essere protagonisti attivi nella vita della nostra società. Ci aspettiamo da loro ed esigiamo che siano fermento di futuro, ma li discriminiamo e li “condanniamo” a bussare a porte che per lo più rimangono chiuse» (ibidem).

L’analisi offerta dal Santo Padre ci porta a comprendere che la protesta, l’indignazione, il rifiuto sono segnali forti di una coscienza giovanile attenta e sensibile. In altra direzione emergono anche, nelle giovani generazioni, una crescente tentazione di percorrere le strade del terrorismo e del fondamentalismo anche di matrice religiosa, che trova in non pochi giovani europei un terreno fertile. In realtà, senza una prospettiva e un senso, la vita, propria o altrui, perde ogni valore. Si tratta così di prendere coscienza che di fronte ai giovani abbiamo un vero e proprio debito: «Più che responsabilità, la parola giusta è debito, sì, il debito che abbiamo con loro» (ibidem).

La terza domanda, concentrata sul rapporto intergenerazionale, trova nel Documento Preparatorio alcune chiavi di lettura di grande interesse, perché vengono evidenziate le caratteristiche di un “adulto significativo”.

Nel testo si antepongono alle singole figure di riferimento (genitori e familiari, pastori e consacrati, insegnanti e altre figure educative) alcune caratteristiche comuni ad ogni adulto: «Il ruolo di adulti degni di fede, con cui entrare in positiva alleanza, è fondamentale in ogni percorso di maturazione umana e di discernimento vocazionale. Servono credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento. A volte, invece, adulti impreparati e immaturi tendono ad agire in modo possessivo e manipolatorio, creando dipendenze negative, forti disagi e gravi controtestimonianze, che possono arrivare fino all’abuso» (Documento Preparatorio).

All’interno del tema generale dell’accompagnamento, durante questo Simposio è stato messo in evidenza il ruolo strategico e delicato dell’accompagnatore. Ne va della crescita dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani che ci sono affidati.

È proprio importante impegnarsi per la propria formazione, imparare sempre meglio a impegnarsi come comunità che vive e opera in comunione. A questo proposito mi rallegro che tutti coloro che si occupano dei giovani a vario titolo nella CCEE si siano dati appuntamento qui a Barcellona per onorare il nobile compito dell’educazione e dell’evangelizzazione dei giovani.

  1. Camminiamo insieme!

Vivere un’esperienza sinodale significa “camminare insieme sulla stessa strada” come totalità della Chiesa: Papa, Vescovi, Sacerdoti, consacrati e consacrate, laici e laiche, giovani. Con il coraggio di mettersi in discussione, il desiderio di verificare le proprie convinzioni e la volontà di rilanciare le proprie pratiche.

Per camminare insieme, penso a quattro priorità.

Prima. Il Sinodo sia realmente un Sinodo! Tutti si sentano interpellati, possano manifestare le loro convinzioni, siano felici di condividere le loro esperienze e di proporre soluzioni. Certo, occorre che ciò avvenga in forma positiva e costruttiva. Nella Lettera ai Giovani che si accompagna al Documento Preparatorio Papa Francesco li invita ad esprimersi liberamente ed apertamente, perché «la Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche».

Seconda. Ci sia un autentico ascolto del mondo dei giovani! Troppe volte nella Chiesa si parla dei giovani alla maniera in cui Giobbe ad un certo punto parlava di Dio, ovvero «per sentito dire» (Gb 42,5). Abbiamo invece bisogno di rimetterci in presa diretta con i diversi mondi giovanili, imparando da Gesù, che si dimostra per noi ancora una volta «il primo e il più grande evangelizzatore» (Evangelii gaudium, n. 12), proprio nel momento in cui si è messo in cammino con i discepoli verso Emmaus. Tutti devono sentirsi coinvolti nel compito creativo di ascoltare i giovani che vivono nei vostri loro rispettivi territori: abbiamo la spinta del Santo Padre, l’invito sinodale, tanto tempo a disposizione, tante possibilità di farlo. Non perdiamo questa occasione unica e privilegiata!

A questo proposito ricordo che tra non molto anche la Segreteria del Sinodo farà la sua parte, rendendo pubblico un sito, dove vi sarà un questionario rivolto direttamente a tutti i giovani, che ha lo scopo di favorire la loro partecipazione al cammino sinodale (www.sinodogiovani2018.va). Tale opportunità ha l’intenzione di rafforzare l’impegno comune di ascolto dei giovani, non di sostituirlo né di ridurlo. Cerchiamo semplicemente di affiancarci a voi per raggiungere il maggior numero possibile di giovani nelle diverse parti del mondo, con alcune domande che possono toccare più immediatamente la loro realtà esistenziale vissuta.

Terza. La Chiesa si metta lealmente in discussione! Ciò avvenga nel suo agire pastorale con i giovani, verificando quello che va e quello che non va, cercando strade nuove. Tutta la terza parte del Documento Preparatorio offre materiale abbondante in questa precisa direzione di verifica e di rilancio. Il Questionario, da parte sua, si conclude chiedendo di scegliere tre pratiche tra le più interessanti e pertinenti da condividere con la Chiesa universale. È stato fatto anche in questi giorni, attraverso la “fiera delle buone pratiche”.

Quarta. In questo percorso il Santo Padre incoraggia a sognare! Ci invita a profetizzare e a rischiare, alla luce dello Spirito, sentieri nuovi: «La parola l’ho detta tante volte: rischia! Rischia. Chi non rischia non cammina. “Ma se sbaglio?”. Benedetto il Signore! Sbaglierai di più se tu rimani fermo, ferma: quello è lo sbaglio, lo sbaglio brutto, la chiusura. Rischia. Rischia su ideali nobili, rischia sporcandoti le mani, rischia come ha rischiato quel samaritano della parabola. […] Rischia! Rischia. E se sbagli, benedetto il Signore. Rischia. Avanti!» (Francesco, Visita a Villa Nazareth, 18 giugno 2016). L’invito è anche per noi, educatori e pastori, che lavoriamo quotidianamente con tanti giovani!

Vorrei infine assicurarvi che nel percorso sinodale in atto non vi è nulla di predeterminato o di “già deciso”, ma tutto dipende da quello che emergerà dal lavoro nelle Conferenze Episcopali e, fatte le debite proporzioni, dal Questionario on-line.

Le Conferenze Episcopali si stanno già organizzando in vario modo, con diverse iniziative, raccogliendo dati e consultando tutti e ciascuno. Attendiamo l’apporto saggio e profondo delle Chiese di antica tradizione, come quelle europee, tanto quanto il contributo delle giovani Chiese. Nutriamo il desiderio di arricchirci reciprocamente, consegnando le nostre esperienze e accogliendo quelle degli altri con disponibilità di cuore, fermamente convinti che «tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio» (Rm 8,28).

La Segreteria Generale del Sinodo lavorerà a partire dalle risposte al Questionario. La strategia adottata permette ad ogni organismo non solo di raccogliere dati, ma di rielaborarli con intelligenza e saggezza, offrendo così un contributo ricapitolativo di qualità.

Infine vorrei di nuovo ringraziarvi e salutarvi. Grazie!

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Sister Lola Arrieta, Carmelite Sister of the Caridad de Vedruna

30 March 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 29.03

The text of Sr. Lola Arrieta, Carmelite Sister of the Caridad de Vedruna, expert in the accompaniment of young people is availble in PDF here.

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Msgr Oscar Cantoni, Bishop of Como

18 April 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 29.03

SANTA MESSA PER LE VOCAZIONI – OMELIA

L’espressione finale del Vangelo di oggi: “Non cerco la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato” (Gv 5, 30), mentre richiama la totale, docile sottomissione filiale di Gesù dal Padre suo, ci assicura che per ogni discepolo del Signore, compiere la volontà di Dio, e quindi seguire la propria chiamata secondo il suo volere, è il modo migliore per conformarsi a Gesù, che fu obbediente e fedele al Padre fino alla fine. Pregare per le vocazioni significa innanzitutto questo: chiedere al Signore Gesù di aiutare i suoi discepoli a diventare come Lui: servo obbediente del Padre e quindi dei fratelli.
Accompagnare i giovani nel non facile discernimento vocazionale è un compito esaltante, tanto più quando si tratta di aiutarli a seguire Gesù nella vita consacrata o nel ministero ordinato. Per questo, noi oggi eleviamo al Padre, unendoci alla preghiera del Figlio suo, la nostra supplica, animati dal soffio dello Spirito Santo: “manda, Signore, apostoli santi alla tua Chiesa”.

Perché l’Europa ritrovi una rinnovata giovinezza dello spirito e riscopra i valori fondamentali che hanno caratterizzato il suo progetto fondativo, fondato sulla dignità trascendente dell’uomo, sulla difesa di valori quali la libertà, la giustizia, l’amore alla famiglia, il rispetto della vita, la causa della pace, c’è bisogno dell’impegno attivo e responsabile di tutti i cristiani.  C’è bisogno anche di consacrati e consacrate, che vivano di profezia, pronti a testimoniare che la fraternità è possibile, che la accoglienza dei poveri, dei profughi, dei migranti si può realizzare, che la solidarietà nasce dalla capacità di donarsi agli altri per amore di Gesù. l’Europa ha ancor più bisogno di sacerdoti che guidino con saggezza, e non da rassegnati, il popolo di: Dio e aiutino a riscoprire la dimensione trascendente della vita, dal momento che l uomo europeo non può bastare a se stesso, né’ può accontentarsi di uno stile di vita fondato troppo spesso solo sul benessere materiale.

Pregare per le vocazioni al sacerdozio significa riferire ai chiamati di oggi la stessa missione che Dio ha affidato al popolo di Israele, esiliato in Babilonia, ripreso nella prima lettura di oggi (Is 49, 8-9), quando il Signore Dio ricorda di averlo formato e stabilito come strumento di salvezza. La chiamata di Dio al ministero si traduce sempre in una missione di servizio a vantaggio degli altri. Inoltre la parola di Dio puntualizza lo scopo preciso di chi è chiamato: quello di ” far risorgere la terra,” cioè di promuovere nel nostro mondo, dominato dall’egoismo, una nuova umanità, capace di solidarietà e di impegno verso gli altri. La missione dei sacerdoti è quella di partecipare alla liberazione dell’uomo dalle tante moderne schiavitù, di dire ai prigionieri (del potere, delle mode, delle varie dipendenze, “uscite!” e a quelli che sono nelle tenebre, cioè privi della luce liberante del Signore risorto: “venite fuori!”. È’ una missione che invoca per tutti un “supplemento d’anima” che solo Dio può offrire e che noi però possiamo domandare con insistenza, appunto attraverso la nostra costante, umile e fiduciosa preghiera.

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Msgr Jean-Claude Hollerich, Archbishop of Luxembourg

18 April 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 29.03

ACCOMPANIMENT OF A PERSON THROUGHOUT LIFE

My task in introducing the accompaniment of persons from birth to death is both easy and very complicated at the same time. It is easy because the mission of the Church for such an accompaniment is self-evident …. So the difficult task lies on giving a framework and showing some new aspect in this regard. I would like to speak out of my experience having worked at Sophia University in Japan where I had the chance of being a priest with students, professors, employees, alumni etc.

Allow me to quote the Spiritual Exercises of Saint Ignatius at the beginning: the first preamble of the first contemplation of the second week: “to remember the story I have to contemplate: Here, the three divine Persons looking over the whole universe, filled with people. And seeing all of them descending into Hell, they decide in their eternity that the Second Person should become man in order to save mankind.”

This is the mission the Church shares with Christ; help that people be saved. As a bishop, a priest or a lay person, I have to work for the salvation of the people we meet and God makes us to meet.

Let me start my narration with the struggle for life. One of our students got pregnant ….. the family wanted the young woman to have an abortion. In many conversations we could convince the student to keep the baby; this was not only my work, but a common work with all of her friends … community work … later on I could become godfather of the son who got born. Caring for life at the beginning sometimes means caring for the unborn life …

I had the chance of baptizing every year some of my students. With time I noticed that a good number of them had been in a catholic kindergarden, originally fourded by nuns of different congregations but now very often under the care of devoted lay women. They used to sing some catholic hymns like “Mariasama no kokoro” … “the heart of Lady Mary” … they experienced that song as an expression of great piety. They learned to make their heart silent and speak with Jesus. As young students they still had a longing for this original piety and they got curious about God and Christianity.

How often could I meet with parents and appreciate their love for their children … the values they have transmitted not so much through words but through daily family life. How could I have spoken to my students about God being a father without the love of their families. If we look back to our own stories of faith we very often have to go back to our families.

What a joy introducing the little ones to Holy Communion … to see how children can grasp a mystery … how the little hearts can be filled with big love and devotion …

The difficulties to keep faith in puberty … when the ego is in revolt against any kind of authority including religious authority … what a pleasure to have priests who can be friends … who can understand the revolt without sharing it.

I shall not speak about youth … there will be other occasions in this meeting …

Marriage … what a wonderful step to true love. The marriage preparation team in our St Ignatius Parish was composed by priests, nuns, married couples … who could share their own married life … as a priest I was clearly at the learning side … the whole joy of preparing the wedding ceremony. I must inform you about a Japanese particularity: a Church blessing for non-christian couples … It is a good example that our pastoral care has to be for Christians as well as for non-christians … to be missioned for the salvation of the people who cross our path.

Let me introduce the pastoral care for our former students. In Japan there are many group for women … men are more often absent in our Churches in Japan because they have to work, and on Sunday they have to sleep … otherwise they cannot survive. One parish priest had the fantastic idea of opening a bar in Shinjuku where men, tired of their work, can come late in the evening to have a drink … and to be able to speak with this priest … speaking about their frustration at work. From my own experience I can relate that conversations with men in between 30 and 50 years of age which included topics like couple problems … no sexual intercourse anymore because of their tiredness after work … their feeling estranged from their wife … not having much time for real communication …  their frustration of having no time for their children, their temptations of suicide … so many white collar workers who really belong to the poorest of the poor.

And after retirement the difficulty of having to form again a family … the feeling of uselessness.

When serious illness threatens: help people to face death … be at the side of the persons in their loneliness of old age and death.

In my diocese I sometimes feel that the Church organizes the liturgies or the sacraments … but we lack the pastoral care for people, we lack in humanity … in brotherly love. If we consider that the Second Person of the Holy Trinity became man for the salvation of people … do we not need to become more human in order to be more like God …

To accompany human persons means to love them, to give them all of our human affection without depending on their response … to give without taking the freedom away for people … to empower them.

We need a lot of respect for the people we have the chance to accompany. Christ precedes us is in their culture, their life, their heart.

We need a lot of humility … because we know that God does not love us more than them.

We have to help them to go forward in the path of their life which is a path where they are first accompanied by Christ. Faith is a dynamic concept: we have to help people to progress in faith. Here I would like to stress the concept of discernment …. To take the best possible decisions … and every best possible decision is a step to meet the Fountain of all … to accept and to collaborate with our salvation.

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Witness – Young Woman form Albania

29 March 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 29.03

Sono felice di essere in mezzo a voi e dare la mia testimonianza. Mi chiamo Jona. Sono cresciuta in una famiglia musulmana. La mia nonna aveva una grande fede in Dio e pregava ogni giorno. Lei è stata la prima persona che mi ha parlato di Dio. Cosí ho cominciato a conoscere Dio ed a pregare da quando ho avuto tre anni. È interessante il fatto che la mia nonna era musulmana ma mi parlava di Dio come se fosse una fedele cattolica. Mi diceva sempre che Dio era un Padre che mi amava e che Lui non mi avrebbe mai abbandonato. Lei, senza saperlo, con le sue parole e con il suo amore, mi ha dato un’ importante testimonianza di fede cattolicà. A volte penso che il suo cuore già conosceva la verità di Dio, quella verità che non aveva avuto la possibilità di conoscere direttamente. Dico così perchè sono sicura che Gesù Cristo ha abbracciato ogni cuore umano di quelli che sono vissuti nel passato, di quelli che vivono oggi e di tutti quelli che vivrano nel futuro.

All’età di sei anni i miei genitori mi hanno iscritto nella scuola cattolicà delle suore del “Sacro Costato”. Così è iniziato il mio viaggio di fede. Ricordo con nostalgia il giorno in cui sono entrata per la prima volta nella scuola. Era un ambiente sereno. Appena sono entrata ho visto una grande croce. La seconda cosa che mi ha colpito era la stanza piena di bambini felici che ridevano e giocavano; c’erano tanti giocattoli e bei disegni fatti dai bambini. Una suora mi ha abbracciato e mi ha preso per mano a mostrarmi gli altri ambienti. Non ho mai dimenticato il suo sorriso. Mi sono sentita a casa.

Durante gli anni di studio pregavo tanto, quasi ogni giorno, nella cappella della scuola, ed ho cominciato piano piano a conoscere la fede cattolica. Le suore mi hanno dato un grande esempio di fede e anche di servizio e amore per gli altri. Noi studenti eravamo tutti come i loro figli. Crescendo in un ambiente cattolico, ho realmente capito cosa vuol dire essere rispettata e mi sono sentita rispettata. Ho imparato che ognuno deve essere amato, nonostante la sua condizione o i suoi sbagli, perchè ognuno è un figlio amato da Dio, ognuno ha un’unica identità. Ho imparato a vedere gli altri come fratelli e sorelle e anche ad amarli. Ho vissuto la forza e la infinita gioia che viene dalla preghiera: esperienze che poi mi hanno accompagnato per tutta la mia vita.

Le suore mi hanno accompagnato per nove anni della mia vità, dall’asilo fino al liceo. Loro sono state per me la mia seconda famiglia. Con loro frequentavo il catechismo, pregavo, ridevo, ballavo, cantavo e giocavo ogni giorno. Con loro ero felice. La cosa più importante di questo viaggio di nove anni é il fatto che io mi sono sempre sentita libera di essere me stessa, e anche amata senza condizioni . Durante questi anni ho imparato il valore e l`importanza dell`amore vero e puro, di quell’amore che non conosce limiti e condizioni umane.

Ho frequentato il liceo in una scuola dei Gesuiti. Gli esercizi spirituali, la santa messa e la preghiera erano diventati cibo per la mia anima. Sopratutto le frasi del Vangelo mi riempivano di profonda gioia, di amore per gli altri e di un grande coraggio nei confronti della vita.

Ho continuato cosí per i quattro anni di liceo. Nel 2011 ho cominciato l’Universitá e contemporaneamente è iniziato un periodo difficilissimo della mia vita: per la prima volta mi sono arrabbiata con Dio, ho smesso di pregare e non sono più andata in chiesa. Ho trascorso quattro anni nel buio, senza luce. Un giorno, dopo tanto tempo, sono andata a visitare le suore della scuola dove avevo studiato per nove anni. E` stato un momento chiave nella mia vita. Loro erano le stesse di sempre. Mi hanno abbracciato con amore e grande gioia. Dopo l’incontro con le suore, ho ricordato tutto: le messe e le preghiere vissute insieme, i giorni pieni di felicità. Quei ricordi sono stati una candela di luce in mezzo al buio profondo. Dopo tanto tempo, mi sono rimessa in piedi, per pregare. Ho capito che tutto quello che stavo ricordando aveva un solo nome: si chiamava amore. Tutta quella storia era la mia storia d`amore. Durante quel lungo e triste periodo, Dio stava scrivendo una storia d’amore per me. E questo, Dio lo fa con tutti. Lui ha una speciale storia d’amore con ognuno.

Da quel giorno, ho cominciato a leggere il Vangelo e ad andare in chiesa per pregare. Spesso durante la preghiera mi veniva un grande desiderio di ricevere il Battesimo. Era come una chiamata, una richiesta che veniva dalla profonditá della mia anima ma, a causa della famiglia e della mentalita` che esiste nel mio paese, non avevo il coraggio di accettare ciò che il mio cuore cercava e desiderava.

Un giorno, in un incontro di giovani, alla S.Messa, mi hanno incaricato di leggere questa preghiera: “Dio, fá che la luce che hai acceso in noi con il Battesimo, non si spenga mai, da nessuna difficoltà, ma sempre splenda per te”. Dopo questa preghiera, mi sono sentita fortemente convinta di voler ricevere il Battesimo, soprattutto ero convinta che Dio voleva farmi un grande regalo, ed io gli volevo fare una promessa per sempre, con il mio Battesimo.

La Domenica di Pasqua dello scorso anno, ho ricevuto il Battesimo e la Prima Comunione. Da quel giorno la mia vita é totalmente cambiata. Il buio é scomparso. La luce di Cristo ha riempito la mia vita. Ho cominciato a camminare con Gesù ogni giorno, facendo dei piccoli passi. Il Vangelo mi riempie ogni giorno di gioia e di felicitá profonda. Nel Vangelo ho trovato le risposte che cercavo per la mia vita. La santa Messa e la preghiera mi riempiono di profonda pace spirituale. Attraverso i Sacramenti della Sua Santa Chiesa, Dio mi ha fatto il regalo più grande che un Padre possa fare alla sua figlia: una nuova vita!

I cambiamenti sono venuti gradualmente, con il tempo, ma ciò che Dio mi ha regalato attraverso lo Spirito Santo, é la forza e il coraggio di cambiare.

Quello che vi voglio comunicare é che Dio continua a parlarci ogni giorno. Noi dobbiamo solo ascoltarlo. Lui non si stanca mai di dirci che ci ama.

Per me, vivere la fede cattolica, significa vivere ogni giorno una promessa d’amore. Con la croce di Gesù noi abbiamo una promessa d’amore, per sempre! Una promessa fatta dal Padre per tutti i suoi figli. Io, sempre, quando faccio il segno della croce, ricordo questa promessa. Gesù ha vinto sulla morte per dirci che l’amore di Dio sempre vincerà! Il suo amore é l’unica realtá che vincerá. Noi sappiamo questo con sicurezza, perché Gesù stesso lo ha dimostrato.

Allora, se realmente viviamo e abbracciamo forte questa promessa, ogni momento della nostra vita sará riempito di gioia vera e pura, gioia che viene solo da Dio.

Con Gesù possiamo sempre ricominciare di nuovo. Con Lui possiamo cambiare, trasformarci e anche rinascere in una nuova vita. Lui é nato perché noi possiamo rinascere di nuovo.

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Cardinal Antonio Cañizares Llovera, Vice-President of the Spanish Bishops’ Conference

18 April 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 29.03

HOMILIA

El texto bíblico que acabamos de proclamar en esta oración de alabanza matutina nos habla del amor de Dios, un amor tierno y apasionado por su pueblo. Este amor suyo llega hasta el extremo al enviarnos su Hijo al mundo, venido en carne, despojándose de su rango y rebajándose hasta lo último en una muerte como la de la Cruz. No cabe más amor. Por eso, aquí está la clave de todo: acercarse a Cristo, encontrarse con El, llevar a los hombres, a los Jóvenes, hasta El, llevarles a la luz que es Cristo. El que es la Luz y la Verdad, ha venido para dar testimonio de la Verdad, que se realiza en el amor, un amor sin medida como el de Jesús: la verdad de Dios y la verdad del hombre. Nada de lo humano le es ajeno a El. Es la clave para ver y comprender esa gran y fundamental realidad que es el hombre. No se puede comprender y ver al hombre hasta el fondo sin Cristo. O más bien, el hombre no es capaz de verse a sí mismo, de comprenderse a sí mismo hasta el fondo y llegar a ser lo que es y está llamado a ser hasta el fondo sin Cristo. No puede entender quién es, ni cuál es su verdadera dignidad, ni cuál es su vocación, ni su destino final. No puede ver y entender todo esto sin Cristo. Y por esto no se puede excluir a Cristo de la historia del hombre en ninguna parte. Excluir a Cristo de la historia del hombre es un acto contra el hombre; la historia de cada hombre se desarrolla en Jesucristo; en El se hace historia de salvación, historia del amor de Dios en favor del hombre.

Todo hombre,- también el hombre roto de hoy, las nuevas generaciones -todo lo humano, la cultura y las culturas en las que se expresan las búsquedas e inquietudes de la humanidad – también la cultura quebrada de nuestra época- están hechos para el encuentro con Cristo, y sólo en Cristo podrán encontrar el camino de la realización plena de la propia humanidad. El mundo actual necesita ver; son muchos los hechos, las corrientes de pensamiento en la cultura dominante, los comportamientos de los hombres que están expresando que el mundo necesita ver, que reclama una profunda reconstrucción para que pueda tener otras miradas que le conduzcan por sendas de humanidad verdadera. Los países de vieja tradición cristiana, la vieja Europa necesita de una inmensa tarea de reconstrucción. Esta reconstrucción ha de empezar por la recuperación de la persona humana. La clave para esa recuperación es el encuentro con Jesucristo, el Redentor del hombre, el que nos guía y nos hace participar de la verdad que libera. De ahí que urja el encuentro personal de los jóvenes con Cristo, y así habrá esa reconstrucción tan necesaria como urgente y por ello la necesidad apremiante de una nueva evangelización de los jóvenes de hoy que les conduzca a ese encuentro con Cristo.

Por ello la reconstrucción de un mundo humano y la evangelización son como dos caras de la misma realidad. No habrá reconstrucción sin una nueva evangelización y al revés, una evangelización que no generase una humanidad nueva, una nueva cultura no sería una evangelización verdadera. Urge el que las nuevas generaciones vengan al encuentro con Cristo, para hallar el verdadero, el pleno, el profundo significado de ser hombre o el profundo significado de palabras y realidades tan claves como paz, amor, justicia. La tarea es enorme, pero tenemos todos los motivos del mundo para la esperanza: en medio de la gran dificultad del momento, el drama del corazón humano permanece ahí, y ese corazón humano está hecho para el encuentro con Cristo, sus ojos están hechos para ver la luz y abrirse a la verdad, que es Cristo, el corazón del hombre, el corazón del joven están hechos para ese encuentro, para que vea y siga a Cristo.

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Cardinal Vincent Nichols, Vice-President of CCEE

28 March 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 28.03

Homily

The first reading in our Mass this evening is one of the most beautiful and evocative passages in the Bible. These words of Ezekiel flow throughout the Biblical texts. They are echoed in the words of Jesus as he proclaims: ‘If anyone is thirsty, let him come to me. Let him come and drink!’ (Jn 7:37). They appear in the Book of Revelation where we read this: ‘Then the angel showed me the river of life, rising from the throne of God and of the Lamb and flowing crystal-clear down the middle of the city street. On either side of the river were the trees of life’ (Rev 22:1-2).

Ezekiel’s vision of an issue of water flowing from the Temple came to him on a day when the Temple of Jerusalem had been destroyed. It is, then, a vision of great hope, a vision of a life-giving stream, that widens and deepens until it makes wholesome even the sea itself. On the banks of the great river stand trees that are not supremely fruitful but whose leaves bring about the healing of the people.

The Gospel of John gives us the interpretation of this vision: ‘As scripture says: From his breast shall flow fountains of living water. He was speaking of the Spirit which those who believed in him were to receive’ (Jn 7:38-39). Thus we can readily see that the side of the Temple, of which Ezekiel speaks, is indeed the side of Jesus, from which flowed forth blood and water (Jn 19:34), two of the three witnesses about which John speaks in his First Letter. The third and invisible witness is the Holy Spirit, poured out afresh from the wounds of Christ (1 Jn 5:7-8).
I have long been fascinated by a detail to be found in most images of Christ crucified. I am no doctor, but I know that the heart is situated on the left side of our chest. Yet in all classical crucifixes, the wound through which the heart of Jesus is pierced is to be seen on the right hand side of his body. It is the visual expression of this same text: that the saving waters, the gift of the Holy Spirit, flow from the right side of the Holy Temple, which is his Body.

From the very first moments of his conception, which we have just celebrated, the life of Jesus is the work of the Holy Spirit. It is as if he being is filled to overflowing with that presence and power. Today’s Gospel is an example. It is in the power of that Holy Spirit that Jesus cures the sick man and, in doing so, begins the process whereby he identifies himself with the new Temple. The person of Jesus is like a jar, filled to the brim with the Holy Spirit. It is only when this alabaster jar is shattered, during his Passion, that its content and fragrance fills the whole house. And that house is, in the first place, the Church.

Indeed we can say that the last breath of Jesus is the first breath of the Church. As he breathes his last, the Church breathes in the new life of the Holy Spirit that is to flow from her, giving healing and life to all who come to those waters. These words are engraved above the baptismal font at the Lateran Basilica: ‘This is the wellspring that cleansed the whole world – having its source in the wound of Christ’ (Fons hic est qui totum diluit orbem sumens de Christi vulnere principium).
Today, as we strive to live in the Church by that same Spirit, there is a solemn warning that we do well to heed.

It was spoken by the future Patriarch Ignatius IV: ‘Without the Holy Spirit, God is far away, Christ stays in the past, the Gospel is a dead letter, the Church simply an organisation,authority a matter of domination, mission a matter of propaganda, liturgy no more than an evocation, Christian living a slave morality. But with the Holy Spirit, the cosmos is resurrected and groans with the birth pangs of the kingdom, the risen Christ is there, the Gospel is the power of life, mission is a Pentecost, the liturgy is both memorial and anticipation, and human action is deified’ (Bishop Ignatius Hazim, Address to the Fourth Assembly of the World Council of Churches, Uppsala, 1968).

As we ponder and explore the theme of this Symposium – accompanying young people – we remember that our task is always to help them discern the will of God for them, the greatness to which our loving Father is summoning them. As Pope Benedict said, we are made not for comfort, but for greatness. Our stance, then, is always one of being open to the Holy Spirit, of wanting, in humble obedience, to discern the promptings of that Spirit and to respond, step by step, to that challenging call.

The Spirit is first poured out in the act of creation in which is first written the basic grammar of our human nature. And it is, as I said this afternoon, a grammar of gift. We who receive life as a gift, find the fulfilment of our lives when we give our lives as a gift, a gift made in faithfulness and love. Yet we are also fallen creatures. Left to ourselves we lose our way in the multitude of options and attractions which confront us. We stand in need, then, of receiving the drama of our salvation, and that drama is so vividly described in that stream of water, flowing from the right side of the Temple, becoming a great torrent of love, which brings healing and growth to all who are caught in its embrace. The salvation offered to us in Jesus is for the healing of our nature so that we may indeed attain the fulfilment for which we have been made: the fulfilment that comes with the utter, unrestricted gift of ourselves.

This is the heart of every vocation. Today we strive to understand the dynamic of the Holy Spirit at work in young lives, and to understand our part in serving that dynamic. At this moment, during this Mass, we open ourselves entirely to that same Spirit, here as we stand at the foot of the Cross and partake afresh in the outpouring of the Spirit from the wounds of Jesus, held before us in this Sacrifice.

We pray again the words of the ancient prayer:
Anima Christi, sanctifica me,
Corpus Christi, salva me,
Sanguis Christi, inebria me,
Aqua lateris Christi, lava me.
Soul of my Saviour sanctify my breast,
Body of Christ be thou my saving guest,
Blood of my Saviour bathe me in thy tide,
Wash me with water flowing from thy side.
Amen.

Cardinal Vincent Nichols is Archbishop of Westminster and Vice-President of CCEE

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Fr. Michel Remery, CCEE Vice Secretary General

28 March 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 28.03

The path towards the Symposium and presentation of the programme

At the beginning of this Symposium, I am glad to reiterate briefly the steps that led us to the European event we are starting today. The idea for this Symposium was born two years ago during a meeting of the CCEE commission for Catechesis, School and University. The importance of continuity in the accompaniment of young people was recognised, together with the fact that this continuity goes beyond the specific contribution of the various pastoral sectors. This was the start of a truly European path of preparation, which involved the delegates from all the members of CCEE for the pastoral sectors of Catechesis, School, University, Youth and Vocations.

In September 2015, a committee representing the five sectors convened in Malta and drafted a document, which was discussed during the first half of 2016 at separate meetings with the national delegates from all five sectors. Many of you have participated in one of these meetings. The result was a reflection aid document, drafted in Madrid and Rome on the basis of your reactions by another committee representing the five sectors, together with the bishops responsible for these fields in Europe. Hopefully the document has been of help in preparing yourself for this Symposium!

Another result of the Europe-wide consultation was a great amount of suggestions for the programme, which we have tried to incorporate as much as possible. This has led to the present programme, which consists of three main parts.

  • First, we will look at the person being accompanied. This part will be introduced by the president of the CCEE Commission for Catechesis, School, and University, His Grace Marek Jędraszewski. And then we will see a video made by young people from Barcelona, giving an insight into the challenges, problems and joys of young people today in Europe.
  • Second, we will study accompaniment Four young people will speak about the theme on the basis of their personal experience of receiving accompaniment. This section will be introduced by the person who organizes the World Youth Days, Fr João Chagas. With the help of His Grace Jean-Claude Hollerich and five expert delegates, we will think about what it means to accompany a person throughout their entire life.
  • Third, we will reflect on the person who accompanies. The contribution of Sr Lola Arrieta, who herself has great experience in accompanying young people, will be further illustrated by three brief video testimonials about accompaniment.

In order for the Symposium to be as beneficial to you as possible, we invite you to make use of the opportunities provided, to intervene during the moments of dialogue with the assembly. Furthermore, there are two planned moments of dialogue in smaller groups. Another way of exchanging among yourselves will be the market of “best practices”, which intends to be more than just a moment of marketing, inviting you to also look beyond the actual projects presented towards the fact that there are many ways to work on evangelisation and that this work is very much worth the effort.

Knowing that in the end the fruits of accompaniment do not depend on our own doing, but on God, prayer will be given an important place in the programme, with a prayer vigil with young people, and votive Masses for vocations and the family. The apex of our liturgical journey during this Symposium will be the celebration of Mass in the basilica of the Sagrada Família.

Indeed, Barcelona is the home of this very precious example of sacred architecture, which was designed by Antoni Gaudí. Our visit to this masterpiece will serve as an example of alternative ways of accompanying young people, in casu through beauty, art, architecture and liturgy.

The announcing in October last year by our Holy Father, Pope Francis, of a Synod of Bishops in 2018 on “Youth, faith and vocational discernment” has been a further stimulus in the development of the programme of our CCEE Symposium. The General Secretary of the Synod of Bishops, Cardinal Lorenzo Baldisseri, will inform us about the preparation of the Synod.

Please allow me to express my gratitude to you, the participants in this Symposium. Your reply to our invitation to participate was literally overwhelming. With some 275 delegates present, from almost all the members of CCEE, this is a great witness to our European continent that the Church takes the questions regarding the accompaniment of young people very seriously. It is our hope that you will return home with new ideas and new enthusiasm to continue to accompany young people to freely respond to Christ’s call. I ask the Holy Spirit to guide us and wish you all a very fruitful Symposium.

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