Cardinal Angelo Bagnasco – Conclusions

31 March 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 31.03

Cari Confratelli
Cari Giovani

  1. L’educatore

Siamo giunti a conclusione di questi giorni intensi, fatti di preghiera, riflessione, ascolto, dialogo su tematiche che toccano la vita dei giovani, ma – se permettete – anche degli adulti e di noi Pastori. Infatti, ed è questa la mia prima considerazione, la realtà dei giovani chiama in causa gli adulti che hanno, verso le nuove generazioni, delle responsabilità gravi. Non dimentichiamo, infatti, che la prima domanda che ogni educatore – genitori, sacerdoti, maestri…- deve farsi davanti ai giovani, non è “che cosa posso fare per loro?”, bensì “chi sono io?”: così si esprimeva il teologo italo tedesco Romano Guardini, docente universitario e grande grande formatore della gioventù. Se, infatti, educare significa che io do a quest’ uomo coraggio verso se stesso, che lo aiuto a conquistare la sua libertà, che lo introduco nella vita perché sia vivo e non un fantasma, allora comprendiamo che la formazione non è questione principalmente di discorsi, esortazioni, richiami, stimoli, metodi: tutto ciò è necessario ma non è ancora il fattore originale. La vita, infatti, viene destata solo con la vita, la luce con la luce, la libertà con la libertà, l’amore con l’amore! Allora, la prima domanda ricade su di me che ho un compito formativo, e pertanto devo chiedermi se sono un uomo vivo, libero, se la mia persona, più che essere efficiente, irradia, è luminosa, e quindi benefica per chi si avvicina.

Se è vero che ogni età chiede lo scalpello o il cesello educativo, è anche vero che le generazioni più adulte hanno maggiori responsabilità verso i più giovani: nessuno è mai “arrivato”, ma gli adulti devono avere qualcosa da dire di vero e di bello, di serio e di buono, a chi si trova all’inizio della parabola: qualcosa da dire con le parole e da testimoniare con i fatti. Se questo non fosse, avrebbe – l’adulto – perso anni che non torneranno.

Non pretendo ora di tirare delle conclusioni vere e proprie, ma presento alcune considerazioni che spero utili per incorniciare – se possibile – l’affresco di questi ricchi giorni che abbiamo vissuto con la vicinanza paterna del Santo Padre Francesco che – tramite il Segretario di Stato S. Em. il Card. Pietro Parolin – ha espresso con un Messaggio incoraggiandoci a “condurre una riflessione sulle sfide dell’evangelizzazione e sull’accompagnamento dei giovani affinché (…) siano portatori convinti e della gioia del vangelo in tutti gli ambiti”.

  1. Educare

Torno sulla straordinaria avventura educativa che chiamiamo “accompagnamento”. Ho già accennato che il primo soggetto chiamato in causa è l’educatore. Vorrei però precisare la natura del processo educativo. Sopra ho accennato al percorso educativo come cammino di libertà, di amore, di luce: sono immagini evocative, ma vorrei ora dire in forma più globale che educare significa aprire alla vita, incontrarla e dialogare con lei.

Che cosa significa?

Ogni giorno la vita ci viene incontro attraverso le cose che prevediamo nel programma di lavoro o di studio, e attraverso le molte cose che non possiamo prevedere, e che riguardano la nostra vita esteriore o il nostro mondo interiore, come sentimenti, impulsi, sensazioni, pensieri, cambiamenti…cose piacevoli o dolorose, successi o sconfitte, gioie e paure. Dobbiamo incontrare la vita ogni giorno, guardarla in faccia come si presenta, senza fughe, illusioni o pretese: accoglierla così com’è. Accoglierla significa corrisponderle, portare qualcosa di mio, anzi portare me stesso con il mio essere unico, per far diventare le giornate e gli eventi non un peso che mi capita addosso e che devo subire passivamente, ma qualcosa di personale che faccio mio, che abbraccio e che mi appartiene: la mia storia. E’ questa la maturità umana che anche la fede cristiana ci chiede. Ed è questa serietà che porta la gioia o, comunque, serenità e pace. In sintesi, educarsi e educare è trasformare la vita che ci è data con la sovrana libertà di Dio Creatore, in un capolavoro della nostra libertà. Spesso il Papa ha ricordato che la vita è un dono donato e da donare sempre. Per dialogare con la vita, però, è quanto mai utile dialogare con qualcuno che ci accompagna e, come Gesù, ci ascolta, ha pazienza, sa attendere, ci dà fiducia, ci benefica con la sua luminosità spirituale, ci parla con le parole di Dio, ci offre i sacramenti della salvezza, non ci lega a sé.

  1. Il grande Maestro

E’ Cristo il Maestro dei maestri così come è il Pastore dei pastori: a Lui tutti dobbiamo guardare e soprattutto rivolgerci con insistente e costante preghiera. perché egli operi nelle anime ciò che Lui vuole, non le nostre piccole idee. Egli, all’inizio della sua missione, sceglie dodici uomini e li forma per farne degli Apostoli. Erano uomini adulti, avvezzi ad una vita di sacrificio e di responsabilità. La vita li interpellava ogni giorno ed essi rispondevano alle sue chiamate: il lavoro, la famiglia, gli amici, la fede ebraica, la società di appartenenza, il villaggio… Ogni giorno incontravano provocazioni che mettevano a prova e insieme arricchivano la loro umanità di uomini e di credenti. Gesù si inserisce nella loro vita, e quella vita l’avrebbe cambiata alla radice, ne avrebbe fatto dei testimoni: da quel momento, i Dodici sarebbero stati segnati da accoglienza e insuccessi, gloria e tradimenti, lusinghe e persecuzioni. Il Maestro voleva formarli, educarli a vivere della loro vocazione, cioè dentro a quel rapporto personale che la chiamata di Gesù – “seguimi” – aveva creato per sempre, e che avrebbe definito, prima ancora che il loro agire, il loro stesso essere. Voleva formarli perché incontrassero la loro nuova vita e lì inserissero la loro umanità, lì giocassero tutto il loro cuore.

Ma come? Basta scorrere i Vangeli e vediamo che la scuola di Gesù è fatta di parole e di silenzi, di gesti quotidiani e di miracoli, di rimproveri e di tenerezza, di esigenza e di pazienza, di fatica ed i festa, di preghiera e di dialogo, di compagnia e di solitudine, di prossimità e di distanza. Ma sempre e comunque d’amore e di fiducia verso questi poveri uomini, semplici quasi tutti incolti, che si sono trovati all’improvviso in un’avventura più grande di loro. Le parabole e i grandi discorsi sulla montagna o in riva al mare, i miracoli, la gloria di Gerusalemme e l’abiezione dolorosa del calvario, l’intimità misteriosa del cenacolo, l’alba della risurrezione e il distacco fisico dell’ascensione al cielo, la Pentecoste…tutto era grazia di salvezza per il mondo e, per loro, anche cattedra che li educava ad un nuovo futuro. Nessuna pagina, nessuna parola, nessun gesto del Signore può essere taciuto: il Vangelo è da avvicinare “sine glossa” come raccomandava San Francesco e avendo nel cuore le lucide parole del beato Paolo VI: “Molti, anziché convertire il mondo a Cristo, hanno convertito se stessi al mondo”. Gesù è dunque il Maestro perfetto, ma anche il modello pieno e affascinante da guardare per educare e per educarci: è l’unità di misura dell’umanesimo come ha ricordato il Santo Padre al Convegno ecclesiale della Chiesa Italiana a Firenze nel 2015. In Lui, vero Dio, scopriamo anche il volto dell’uomo completo, tanto che Pilato fu, senza saperlo, profeta quando lo presentò al popolo e disse: “ecce homo!”. Ma questo sarebbe ancora troppo poco, o forse troppo arduo e disperante, se nello stesso tempo non trovassimo in Lui la sorgente della forza e della grazia senza la quale non possiamo far nulla. In Gesù risplendono tutte le virtù umane in forma eminente, risplende la piena umanità dell’uomo, quell’umanità che la nostra epoca rischia di non più riconoscere riducendo la persona ad una forma liquida, ad un’impronta sulla sabbia come dice M. Foucauld, annunciando così la morte dell’uomo.

  1. La cultura del nulla

La cultura contemporanea sembra non aver nulla da dire ai giovani, nulla di significativo che scaldi il cuore e riempia la vita. Ciò nonostante, contiene una opportunità che non dobbiamo perdere: quella di pensare e scegliere. In una cultura fluida ognuno è chiamato a riflettere: può rinunciare a farlo, adeguandosi al pensiero unico, oppure può ascoltare le voci profonde dell’anima, e allora giunge alla spiaggia della verità e del bene, giunge facilmente a Dio: oggi – possiamo dire – si crede poco perché si pensa poco, e Sant’Agostino dice che “la fede se non è pensata è nulla”!

Il potere, quando si pensa non come servizio ma come dominio degli altri, vede il pensare come un pericolo, un attentato. E allora, come la storia del secolo scorso insegna, mette in atto ogni forma possibile di distrazione: il mito del successo e dell’apparenza, il consumismo che consuma l’anima, la felicità come soddisfazione immediata ed effimera, l’autonomi assoluta che svuota il mondo interiore e impedisce di costruire sulla solida roccia. La cultura del nulla di valori e di ideali, è incapace di offrire ragioni per vivere, non vede il senso della vita e del mondo. Il collettivismo materialista e l’individualismo consumistico sono due forme di totalitarismo: entrambi – per vie diverse – annullano la persona e ne fanno un’isola. Illudono in modi diversi, ma il risultato è identico: una angosciante solitudine. Quando la società, anziché essere una comunità di vita e di destino, è una moltitudine di individui separati tra loro, preoccupati solo di se stessi, allora il potere di turno manipola meglio e gli affari di pochi prosperano. Senza contare che il vuoto spirituale chiede di essere riempito, e facilmente subisce la perfida suggestione di ideologie che si presentano forti e mortali. Dicevo che un’opportunità del tempo presente è la provocazione a pensare e a scegliere: scegliere chi essere e come vivere, chi sono gli altri e quali rapporti stabilire, chi è la società e il senso del tempo, da dove veniamo e verso dove stiamo andando insieme all’umanità, quale ruolo avere oltre che nella vita privata anche nella storia, se solo credere in Dio oppure anche vivere con Dio. L’incontro con Gesù redime dal peccato, dona la vita di Dio, trasfigura, immette nel cuore una passione d’amore per Dio tale da attraversare le sofferenze abissali e le miserie “imperdonabili” dell’uomo.

  1. La richiesta dei giovani

Il cuore dei giovani – nonostante rappresentazioni oscure e dolorosi fatti di cronaca – sembra palpitare in modo diverso: parla la diffusa inquietudine che – al di là di problemi contingenti come la difficoltà di trovare lavoro, la difficoltà di farsi una famiglia pur desiderata non poco – svela la nostalgia verso una pienezza che sfugge agli esami più sofisticati: sfugge perché il sofisma complica ciò che è semplice. Si tratta, infatti, di un’inquietudine non contingente ma radicale, che accompagna il cuore in qualunque situazione come una ferità salata, come una freccia puntata verso un obiettivo che sente essere il suo, ma che può solo attendere e invocare come dono dall’Alto. Il giovane desidera interpretare questa permanente ferita che lo fa sentire incompiuto, perenne inquilino di una linea di confine fra due sponde, il finito e l’infinito, il tempo e l’eterno. Ha bisogno di sentirsi accompagnato sulla terra sconosciuta dei significati e del senso della realtà di cui lui è la punta infuocata (T. de Chardin). Aspetta che qualcuno si accorga delle sue insicurezze che, prima di essere psicologiche, sono strutturali o ontologiche, cioè appartengono alla condizione di ogni persona. Intuisce che ciò deve avere un significato, deve contenere un messaggio, ma l’avverte come un labirinto sconosciuto, e cerca qualcuno che gli dica una parola. Su questo incrocio i giovani devono incontrare delle persone significative, dei padri.

Anche un altro equivoco oggi diffuso può ghermire l’età giovanile, quello di credere che il numero delle esperienze è la misura della qualità della vita e della maturità della persona. Da questa bugia nasce l’insoddisfazione in chi non può permettersi tutto questo, e facilmente sgorga il sentimento dell’invidia e del sordo risentimento, che fa dimenticare ciò che si ha, pensando continuamente a ciò che manca. Bisogna però ricordare che non è la quantità della cronaca che costruisce l’uomo, ma la elaborazione di ciò che si è visto, delle esperienze che si vivono. Non è dunque l’estensione che costituisce il senso della vita, ma l’intensità, la forza del vissuto: la vita non è un esperimento. Concepirla così significa non prenderla sul serio, non stimarla, e come diceva secco Leonardo da Vinci: “Chi non stima la vita non la merita” (Scritti letterari).

Un altro aspetto che il giovane, e non solo, spera di decifrare è la diffusa fragilità che insidia tutti, ma innanzitutto i più giovani. Fragilità che si manifesta nella insofferenza davanti alle inevitabili difficoltà, insuccessi, delusioni anche affettive, incomprensioni che la vita comporta. Un elemento decisivo della formazione è, avvicinandosi l’età adulta, la formazione del carattere, il saper stare in piedi da solo. Il carattere non è un “carattere impossibile”, ma è la stabilità interiore della persona: non è rigidità e neppure sclerosi dei punti di vista e degli atteggiamenti, ma è la connessione del pensiero, del sentimento e della volontà con il proprio centro spirituale. Quando non è ancora chiaro e deciso il proprio centro spirituale, la persona ha la sensazione dello smarrimento, cioè della mancanza di sintesi che dà significato e direzione. Viene alla mente quanto scriveva Dietrich Bonhoeffer: “Noi cristiani dobbiamo tornare all’aria aperta, dobbiamo tornare all’aria aperta del confronto spirituale con il mondo” (Resistenza e Resa)

Il punto è scoprire il proprio centro interiore, è costruirlo pazientemente: attorno al centro spirituale la molteplicità fatta di pensieri, sentimenti, scelte, azioni…trova la propria unità e la necessaria, dinamica armonia. Per il cristiano, il centro non è un’idea, una sapienza umana, ma è Gesù sapendo che il cristianesimo non è l’evasione degli uomini nel mondo di Dio, ma l’invasione di Dio nel mondo degli uomini: e che soltanto se saremo toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini in ogni ambiente di vita. Al riguardo, è utile ricordare quanto Madeleine Delbrel, giovane convertita francese del secolo scorso, scriveva nel suo diario: confidava il timore che – nel tempo – il Vangelo venisse “naturalizzato”, cioè gli si togliesse la linfa soprannaturale per ridurlo ad una sapienza umana, un messaggio di buon senso comune, svuotando così la croce di Cristo.

Cari amici, la nostra Europa è un continente straordinario: crogiolo di genti e di Nazioni, di storia e di cultura: è la sintesi di Atene, Gerusalemme e Roma. Il Vangelo è l’alveo fecondo che ha raccolto e portato a sintesi alta ogni altro contributo, e ha generato quell’umanesimo plenario che trova in Gesù la sorgente e il paradigma: “Non esiste umanesimo autentico – scrive il Santo Padre – che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale”. Ci fa bene ricordare anche quanto il maggiore pensatore ceco del XX secolo ha affermato: “Senza cura dell’anima come base spirituale l’Europa è morta e cade nuovamente nell’oblio” (Platone e l’Europa). Tocca a tutti noi – come comunità cristiana – prendere per mano questa grande Terra e farne una “casa di popoli”, dove il fondamento unitario non è da inventare da zero, ma esiste da millenni. Tocca a noi – di diverse generazioni – crescere, per fare crescere la cultura e la civiltà umanistica che è un dono per tutti, ricordando le parole di T.S. Eliot:” Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura. E allora voi dovrete ricominciare faticosamente da capo e non potrete indossare una cultura già fatta. Dovrete attraversare molti secoli di barbarie” (Appunti per una definizione della cultura. Appendice: L’unità della cultura europea, in Opere 1939-1962).

Alle giovani generazioni guardiamo con grande simpatia e fiducia; a loro toccherà essere i nuovi evangelizzatori, convinti che evangelizzare significa annunciare Gesù e le implicazioni concrete del suo mistero che genera una vita buona.

Il nostro è un tempo meravigliosamente arduo, è l’ora che la Provvidenza ci ha dato, l’abbracciamo con fiducia e amore, ricordando quanto scriveva Sant’Agostino: “Vivete bene il tempo e lo cambierete; e se lo cambierete non avrete più da lamentarvi” (Discorsi 311, 8,8). Sì, lo vogliamo vivere bene cominciando a cambiare noi stessi, e aiutandoci gli uni gli altri. Grazie.

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Cardinal Lorenzo Baldisseri – Towards the Synod

5 April 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 31.03

ACCOMPAGNAMENTO DEI GIOVANI E VOCAZIONE:

VERSO IL SINODO 2018

Saluto cordialmente l’Eminentissimo Card. Angelo Bagnasco, Presidente della CCEE, gli Eminentissimi Cardinali ed Eccellentissimi Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e Religiose, Laici e carissimi giovani.

Ringrazio vivamente per il cortese invito a partecipare a questo Simposio sui giovani.

Mi congratulo per questa iniziativa in linea con il cammino sinodale che si è aperto da poco. Il vostro percorso, intrapreso circa due anni fa, che vi ha portato qui a Barcellona oggi attesta la piena e felice sintonia delle Chiese europee con le intenzioni del Santo Padre e con il cammino della Chiesa universale.

In questi giorni trascorsi ho potuto constatare il buono stile, l’accurata organizzazione e lo spirito ecclesiale dell’incontro.

Non posso nemmeno tacere la mia e nostra gratitudine alla Chiesa di Dio che è in Barcellona, che ci ha accolto in questi giorni e ci ha fatto sentire davvero in famiglia: ricca di storia e bellezza, ospitale e aperta, disponibile e generosa.

Grazie a tutti e a ciascuno di voi!

  1. Un Sinodo su “giovani, fede e discernimento vocazionale”

Papa Francesco, rivolgendosi recentemente ai giovani, così affermava: «Nell’ottobre del 2018 la Chiesa celebrerà il Sinodo dei Vescovi sul tema: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Ci interrogheremo su come voi giovani vivete l’esperienza della fede in mezzo alle sfide del nostro tempo. E affronteremo anche la questione di come possiate maturare un progetto di vita, discernendo la vostra vocazione, intesa in senso ampio, vale a dire al matrimonio, nell’ambito laicale e professionale, oppure alla vita consacrata e al sacerdozio» (dal messaggio del santo Padre per la XXXII GMG).

In queste parole possiamo trovare il nucleo ispiratore del prossimo Sinodo dei Vescovi. In primo luogo si tratta di interrogarci, come Chiesa, sulla vita reale dei giovani di oggi, che vivono in un tempo colmo di faticose sfide e ricco di importanti opportunità, con una particolare attenzione alla loro ricerca di senso e all’esperienza della fede. In secondo luogo, l’intenzione sinodale si deve sviluppare verso ciò che di più specifico caratterizza l’età giovanile, ovvero la questione dell’impostazione della propria vita adulta, che nel linguaggio biblico ed ecclesiale è da intendersi nell’ottica del “discernimento vocazionale”, perché è il momento privilegiato di ascolto attento del Dio dell’Alleanza, di dialogo autentico con la sua Parola e di risposta attiva alle sollecitazioni del suo Spirito.

La Chiesa, in sostanza, desidera abilitare ogni giovane a prendere coscienza che «io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo» (Evangelii gaudium, n. 273): da qui nasce la necessità di far luce sulla propria vocazione specifica, per mezzo del discernimento e attraverso l’accompagnamento, che hanno il compito di creare le giuste condizioni perché ogni giovane possa rispondere con gioia e generosità all’appello divino.

La prospettiva generale del Sinodo è quindi chiaramente “vocazionale”: uscendo dal circolo dell’autoreferenzialità narcisistica e mortifera del “chi sono io?” – che è certamente un tratto dominante della cultura globalizzata tardo moderna –, chiede alla Chiesa stessa e ad ogni giovane di entrare nel ritmo della più pertinente e decisiva domanda “per chi sono io?”. Essa apre il campo verso «l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» della vita nell’amore vero e nella gioia piena, che trova nella dedizione del Signore Gesù la sua radice, il suo fondamento e il suo compimento (cfr. Ef 3,18).

  1. Il processo sinodale e le sue diverse tappe

Vivere l’esperienza ecclesiale di un Sinodo significa prima di tutto metterci in movimento, abbandonando le nostre presunte sicurezze per camminare, lasciando che il Signore, attraverso il suo Spirito, ci conduca là dove egli desidera.

Il cammino, per essere fruttuoso, deve anche essere ordinato e sinergico. Per questo vi sono diversi momenti di coinvolgimento.

Dopo la scelta del tema sinodale, la Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, coadiuvata da alcuni esperti e con l’approvazione del Consiglio Ordinario della Segreteria del Sinodo (presieduto dal Santo Padre), ha redatto e reso pubblico il Documento Preparatorio, che è il primo momento importante del percorso: il compito di questo breve e incisivo testo è quello di interpellare la Chiesa universale nelle sue varie componenti. È da notare fin da subito che, per così dire, la “vocazione-missione propria” del Documento Preparatorio sta nell’interpellare, nell’interrogare, nel cercare di far emergere la situazione così com’è e di aiutare tutti e ciascuno a riflettere in profondità. Leggere questo testo cercando risposte pastorali, strategie operative o soluzioni immediate significherebbe sbagliare approccio.

Al termine del Documento Preparatorio c’è un Questionario. La compilazione di questo Questionario secondo le indicazioni date rappresenta la seconda tappa dell’itinerario sinodale, che si sta realizzando in questi mesi e durerà fino alla fine di ottobre. Essa interpella e riguarda tutte le componenti della Chiesa. Questa tappa non è una pura formalità, ma un autentico momento di ascolto e discernimento ecclesiale sui temi sinodali, guidato dalla saggia regola per cui «il tempo è superiore allo spazio» (cfr. Evangelii gaudium, n. 222-225). Le risposte che convergeranno alla Segreteria del Sinodo sono come la punta di un iceberg che, per potersi sostenere, ha la necessità di un laborioso impegno di confronto, approfondimento e condivisione intra ed extra ecclesiale. Di fatto la Chiesa si edifica attraverso processi virtuosi di crescita e di comunione.

In base alle risposte che perverranno, la Segreteria del Sinodo lavorerà per avere – presumibilmente entro la prima metà del 2018 – l’Instrumentum laboris (lo Strumento di lavoro), che sarà offerto ai Padri sinodali come base della discussione e del confronto che si terrà nel mese di ottobre del 2018.

Il risultato dei lavori sinodali verrà consegnato al Santo Padre. Nel dibattito sinodale certamente emergeranno diversi punti di vista, differenti impostazioni pastorali e strategie eterogenee a seconda dei diversi contesti, come è naturale che sia in un reale confronto di una Chiesa che è cattolica perché custodisce le sue differenze interne e mai cerca di omologarle, in quanto le considera un’autentica ricchezza. I frutti del lavoro sinodale esprimono la volontà di camminare insieme, affermano con chiarezza che «l’unità prevale sul conflitto» (cfr. Evangelii gaudium, n. 226-230), e che le nostre diverse vedute non sono superiori all’unità che si realizza nella fede che professiamo in Cristo Gesù e nel desiderio condiviso di vedere i nostri giovani felici nel tempo e nell’eternità. Al Santo Padre spetterà in ogni caso l’importante compito di fornire delle indicazioni con prudenza e sapienza, garantendo l’integralità della fede e dei costumi, e orientando la Chiesa tutta verso le più convenienti e opportune prospettive pastorali. In questa tappa è rilevante sottolineare quanto «il tutto è superiore alla parte» (cfr. Evangelii gaudium, n. 234-237), perché è sempre più vero, soprattutto oggi, che dobbiamo pensare con uno sguardo ampio e globale per poter agire adeguatamente a livello locale.

Inizierà poi la fase della recezione ecclesiale, ovvero della traduzione concreta nelle realtà educative e pastorali delle indicazioni che verranno date. Con la certezza di avere a bordo una mappa adeguata e aggiornata, sarà possibile l’affascinante e rischiosa navigazione nel mare aperto dell’universo giovanile.

Come si può vedere da questa semplice carrellata, siamo solo all’inizio! Non sappiamo ancora dove le varie circostanze ci porteranno, ma vogliamo con sincerità lasciarci ispirare dal Signore e ascoltare la sua voce con apertura e disponibilità, convinti che il vento dello Spirito «soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va» (Gv 3,8).

  1. I tre cardini del Documento Preparatorio

Soffermiamoci ora brevemente sul Documento Preparatorio nel suo insieme. Evidenzio alcune istanze emergenti che mi paiono importanti, offrendo qualche consiglio su come poter ben utilizzare ciò che avete tra le mani.

Il Documento Preparatorio è offerto a tutta la Chiesa; non ha la pretesa di essere esaustivo, ma si propone di orientare il discernimento specifico nei diversi contesti, e nel nostro caso in quello dei singoli Paesi europei. È decisivo lavorare a partire dalla convinzione che «la realtà è più importante dell’idea» (cfr. Evangelii gaudium, n. 231-233): la realtà concreta ci parla e ci istruisce, lì Dio è presente e operante. Le nostre idee hanno il compito di cogliere, comprendere e dirigere la realtà, mai di sostituirla!

La prima chiave di lettura è ravvisabile nell’invito al discernimento. Il tema del discernimento è in cima ai pensieri del Santo Padre, ed emerge fin dai primi documenti del suo pontificato. Lo ha ribadito nella sua recentissima visita a Milano quando, interloquendo con i sacerdoti e i consacrati, ha affermato: «I nostri giovani sono esposti a uno zapping continuo. Possono navigare su due o tre schermi aperti contemporaneamente, possono interagire nello stesso tempo in diversi scenari virtuali. Ci piaccia o no, è il mondo in cui sono inseriti ed è nostro dovere come pastori aiutarli ad attraversare questo mondo. Perciò ritengo che sia bene insegnare loro a discernere. […] Oggi i nostri fedeli – e noi stessi – siamo esposti a questa realtà, e perciò sono convinto che come comunità ecclesiale dobbiamo incrementare l’habitus del discernimento» (25 marzo 2017). Egli desidera una Chiesa che sa mettersi in discussione con franchezza, a partire dalla propria fede, che a ben vedere è inizialmente una “sottrazione di sicurezza”, perché ci chiede di abbandonare le nostre false certezze e di metterci con fiducia nelle mani di Dio: «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza» (Is 30,15).

Discernimento significa allora prima di tutto stare e mantenersi in ascolto, valutare tutto ciò che avviene nella vita del mondo e della Chiesa, sostare nelle feritoie della storia con vigilanza evangelica e attenzione profetica. Significa mantenere aperte le porte al Dio della tenerezza che agisce con insospettabile creatività nella storia, desideroso di prendere voce attraverso la parola dei piccoli e dei poveri. Soprattutto invita la Chiesa stessa ad imparare dai giovani e a chiedere loro «di aiutarla a identificare le modalità oggi più efficaci per annunciare la Buona Notizia» (Documento Preparatorio). Per entrare nel ritmo del discernimento è necessario farsi attenti alle persone concrete, che non solo sono automi replicanti a cui si chiede sottomissione. La pastorale, in questa prospettiva, non è una semplice “applicazione” di regolamenti o prassi fredde e burocratiche alla realtà delle persone, ma è frutto di un discernimento continuo fatto di ascolto, dialogo, confronto, progetto, verifica e rilancio.

La seconda chiave di lettura, il vero e proprio focus sinodale, è la vocazione. Il dono del discernimento, nei riguardi dei giovani, entra direttamente nella “questione vocazionale”, perché la caratteristica propria di quell’età della vita risiede precisamente nel coraggio di prendere in mano la propria esistenza non più come un semplice dono da ricevere, ma soprattutto come un compito da attuare. Infatti, avere il coraggio di osare sentieri nuovi, liberare con audacia la propria creatività, entrare sempre meglio nella logica del servizio, comprendere il modo migliore per stare al mondo, scoprire e far fruttificare i talenti ricevuti e vivere l’entusiasmo di un presente aperto al futuro sono i modi specifici della vita di un giovane. Nella fede cristiana tutto ciò non è riducibile semplicemente ad un “progetto” realizzato con le proprie forze e per il proprio tornaconto, ma fa appello ad una istanza trascendente, che è la voce di quel Dio amorevole che parla attraverso la storia degli uomini e gli avvenimenti della vita. Il discernimento vocazionale, allora, è quel «processo con cui la persona arriva a compiere, in dialogo con il Signore e in ascolto della voce dello Spirito, le scelte fondamentali, a partire da quella sullo stato di vita. […] Come vivere la buona notizia del Vangelo e rispondere alla chiamata che il Signore rivolge a tutti coloro a cui si fa incontro: attraverso il matrimonio, il ministero ordinato, la vita consacrata? E qual è il campo in cui si possono mettere a frutto i propri talenti: la vita professionale, il volontariato, il servizio agli ultimi, l’impegno in politica?» (Documento Preparatorio).

La terza chiave di lettura è quella dell’accompagnamento. È stato il tema del Simposio e certamente le riflessioni emerse saranno di ausilio per il cammino sinodale in atto. E di questo ringrazio vivamente.

Nel Documento Preparatorio si parla dell’accompagnamento alla fine della seconda parte, affermando che «si tratta di favorire la relazione tra la persona e il Signore, collaborando a rimuovere ciò che la ostacola. […] La guida spirituale rinvia la persona al Signore e prepara il terreno all’incontro con Lui» (Documento Preparatorio). L’accompagnamento è quindi sempre un percorso a tre: colui che viene accompagnato, colui che accompagna e il Signore Gesù, che ci ha promesso di essere con noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Viene dichiarato il triplice motivo della sua necessità: primo, l’azione misteriosa di Dio nel cuore di ogni uomo, che va adeguatamente interpretata; secondo, la fragilità della condizione umana e soprattutto il peccato, che inibisce la possibilità di un corretto e adeguato ascolto; terzo, la necessità di decidere, per non rimanere in uno stato di perenne dubbio e incertezza.

Per realizzare l’accompagnamento «non basta studiare la teoria del discernimento; occorre fare sulla propria pelle l’esperienza di interpretare i movimenti del cuore per riconoscervi l’azione dello Spirito, la cui voce sa parlare alla singolarità di ciascuno. L’accompagnamento personale richiede di affinare continuamente la propria sensibilità alla voce dello Spirito» (Documento Preparatorio).

Volendo tracciare il profilo ideale dell’accompagnatore o guida, il Documento Preparatorio evidenzia alcuni tratti caratteristici: lo sguardo amorevole, la parola autorevole, la capacità di “farsi prossimo”, la scelta di “camminare accanto” e la testimonianza di autenticità.

  1. La specificità del continente europeo

Come già evidenziato, nel Documento Preparatorio non si parla, se non per brevissimi accenni, dei diversi contesti. Solo nel Questionario ci si riferisce alle specifiche aree geografiche continentali, con tre domande apposite.

Quelle dell’Europa appaiono particolarmente significative, e conviene risentirle:

  • «Come aiutate i giovani a guardare al futuro con fiducia e speranza a partire dalla ricchezza della memoria cristiana dell’Europa?»;
  • «Spesso i giovani si sentono scartati e rifiutati dal sistema politico, economico e sociale in cui vivono. Come ascoltate questo potenziale di protesta perché si trasformi in proposta e collaborazione?»;
  • «A quali livelli il rapporto intergenerazionale funziona ancora? E come riattivarlo laddove non funziona?».

Ritengo utile offrire alcune riflessioni al riguardo.

A proposito della prima domanda, il Santo Padre, in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno (il 6 maggio 2016), si è chiesto: «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?». Queste domande sono per noi decisive, perché ci riportano ad un passato caratterizzato da tre capacità tipicamente “europee”, che oggi hanno bisogno di essere riscoperte: «La capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare» (ibidem).

La crisi demografica in atto nel Vecchio Continente e la sfida delle migrazioni interpellano più che mai la nostra capacità di accoglienza della vita, di dialogo e di integrazione. Ridare fiducia e speranza ai nostri giovani significa ricominciare a sognare con loro, partendo dalla buona memoria dell’Europa: «Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo» (ibidem).

«Quale cultura propone l’Europa oggi?», si chiede ancora Papa Francesco. E continua: «La paura che spesso si avverte trova, infatti, nella perdita d’ideali la causa più radicale» (Discorso ai capi di stato e di governo dell’Unione Europea in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma, 24 marzo 2017).

Per la seconda domanda suggerirei un passaggio dell’omelia del Santo Padre pronunciata il 31 dicembre 2016, dove egli afferma che «abbiamo creato una cultura che, da una parte, idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, ma, paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani». E continua: «Abbiamo privilegiato la speculazione invece di lavori dignitosi e genuini che permettano loro di essere protagonisti attivi nella vita della nostra società. Ci aspettiamo da loro ed esigiamo che siano fermento di futuro, ma li discriminiamo e li “condanniamo” a bussare a porte che per lo più rimangono chiuse» (ibidem).

L’analisi offerta dal Santo Padre ci porta a comprendere che la protesta, l’indignazione, il rifiuto sono segnali forti di una coscienza giovanile attenta e sensibile. In altra direzione emergono anche, nelle giovani generazioni, una crescente tentazione di percorrere le strade del terrorismo e del fondamentalismo anche di matrice religiosa, che trova in non pochi giovani europei un terreno fertile. In realtà, senza una prospettiva e un senso, la vita, propria o altrui, perde ogni valore. Si tratta così di prendere coscienza che di fronte ai giovani abbiamo un vero e proprio debito: «Più che responsabilità, la parola giusta è debito, sì, il debito che abbiamo con loro» (ibidem).

La terza domanda, concentrata sul rapporto intergenerazionale, trova nel Documento Preparatorio alcune chiavi di lettura di grande interesse, perché vengono evidenziate le caratteristiche di un “adulto significativo”.

Nel testo si antepongono alle singole figure di riferimento (genitori e familiari, pastori e consacrati, insegnanti e altre figure educative) alcune caratteristiche comuni ad ogni adulto: «Il ruolo di adulti degni di fede, con cui entrare in positiva alleanza, è fondamentale in ogni percorso di maturazione umana e di discernimento vocazionale. Servono credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento. A volte, invece, adulti impreparati e immaturi tendono ad agire in modo possessivo e manipolatorio, creando dipendenze negative, forti disagi e gravi controtestimonianze, che possono arrivare fino all’abuso» (Documento Preparatorio).

All’interno del tema generale dell’accompagnamento, durante questo Simposio è stato messo in evidenza il ruolo strategico e delicato dell’accompagnatore. Ne va della crescita dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani che ci sono affidati.

È proprio importante impegnarsi per la propria formazione, imparare sempre meglio a impegnarsi come comunità che vive e opera in comunione. A questo proposito mi rallegro che tutti coloro che si occupano dei giovani a vario titolo nella CCEE si siano dati appuntamento qui a Barcellona per onorare il nobile compito dell’educazione e dell’evangelizzazione dei giovani.

  1. Camminiamo insieme!

Vivere un’esperienza sinodale significa “camminare insieme sulla stessa strada” come totalità della Chiesa: Papa, Vescovi, Sacerdoti, consacrati e consacrate, laici e laiche, giovani. Con il coraggio di mettersi in discussione, il desiderio di verificare le proprie convinzioni e la volontà di rilanciare le proprie pratiche.

Per camminare insieme, penso a quattro priorità.

Prima. Il Sinodo sia realmente un Sinodo! Tutti si sentano interpellati, possano manifestare le loro convinzioni, siano felici di condividere le loro esperienze e di proporre soluzioni. Certo, occorre che ciò avvenga in forma positiva e costruttiva. Nella Lettera ai Giovani che si accompagna al Documento Preparatorio Papa Francesco li invita ad esprimersi liberamente ed apertamente, perché «la Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche».

Seconda. Ci sia un autentico ascolto del mondo dei giovani! Troppe volte nella Chiesa si parla dei giovani alla maniera in cui Giobbe ad un certo punto parlava di Dio, ovvero «per sentito dire» (Gb 42,5). Abbiamo invece bisogno di rimetterci in presa diretta con i diversi mondi giovanili, imparando da Gesù, che si dimostra per noi ancora una volta «il primo e il più grande evangelizzatore» (Evangelii gaudium, n. 12), proprio nel momento in cui si è messo in cammino con i discepoli verso Emmaus. Tutti devono sentirsi coinvolti nel compito creativo di ascoltare i giovani che vivono nei vostri loro rispettivi territori: abbiamo la spinta del Santo Padre, l’invito sinodale, tanto tempo a disposizione, tante possibilità di farlo. Non perdiamo questa occasione unica e privilegiata!

A questo proposito ricordo che tra non molto anche la Segreteria del Sinodo farà la sua parte, rendendo pubblico un sito, dove vi sarà un questionario rivolto direttamente a tutti i giovani, che ha lo scopo di favorire la loro partecipazione al cammino sinodale (www.sinodogiovani2018.va). Tale opportunità ha l’intenzione di rafforzare l’impegno comune di ascolto dei giovani, non di sostituirlo né di ridurlo. Cerchiamo semplicemente di affiancarci a voi per raggiungere il maggior numero possibile di giovani nelle diverse parti del mondo, con alcune domande che possono toccare più immediatamente la loro realtà esistenziale vissuta.

Terza. La Chiesa si metta lealmente in discussione! Ciò avvenga nel suo agire pastorale con i giovani, verificando quello che va e quello che non va, cercando strade nuove. Tutta la terza parte del Documento Preparatorio offre materiale abbondante in questa precisa direzione di verifica e di rilancio. Il Questionario, da parte sua, si conclude chiedendo di scegliere tre pratiche tra le più interessanti e pertinenti da condividere con la Chiesa universale. È stato fatto anche in questi giorni, attraverso la “fiera delle buone pratiche”.

Quarta. In questo percorso il Santo Padre incoraggia a sognare! Ci invita a profetizzare e a rischiare, alla luce dello Spirito, sentieri nuovi: «La parola l’ho detta tante volte: rischia! Rischia. Chi non rischia non cammina. “Ma se sbaglio?”. Benedetto il Signore! Sbaglierai di più se tu rimani fermo, ferma: quello è lo sbaglio, lo sbaglio brutto, la chiusura. Rischia. Rischia su ideali nobili, rischia sporcandoti le mani, rischia come ha rischiato quel samaritano della parabola. […] Rischia! Rischia. E se sbagli, benedetto il Signore. Rischia. Avanti!» (Francesco, Visita a Villa Nazareth, 18 giugno 2016). L’invito è anche per noi, educatori e pastori, che lavoriamo quotidianamente con tanti giovani!

Vorrei infine assicurarvi che nel percorso sinodale in atto non vi è nulla di predeterminato o di “già deciso”, ma tutto dipende da quello che emergerà dal lavoro nelle Conferenze Episcopali e, fatte le debite proporzioni, dal Questionario on-line.

Le Conferenze Episcopali si stanno già organizzando in vario modo, con diverse iniziative, raccogliendo dati e consultando tutti e ciascuno. Attendiamo l’apporto saggio e profondo delle Chiese di antica tradizione, come quelle europee, tanto quanto il contributo delle giovani Chiese. Nutriamo il desiderio di arricchirci reciprocamente, consegnando le nostre esperienze e accogliendo quelle degli altri con disponibilità di cuore, fermamente convinti che «tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio» (Rm 8,28).

La Segreteria Generale del Sinodo lavorerà a partire dalle risposte al Questionario. La strategia adottata permette ad ogni organismo non solo di raccogliere dati, ma di rielaborarli con intelligenza e saggezza, offrendo così un contributo ricapitolativo di qualità.

Infine vorrei di nuovo ringraziarvi e salutarvi. Grazie!

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Cardinal Angelo Bagnasco : Homily at the Sagrada Família

31 March 2017 |by | 0 Comments | Texts, 30.03

Cari Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore
Cari Amici

  1. È motivo di grande gioia essere in questa splendida chiesa per celebrare la Santa Eucaristia, sorgente e culmine della vita cristiana. Il Simposio Europeo dei Giovani sull’accompagnamento – che il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) ha fortemente voluto – vuole essere un’occasione di fede e di fraternità: di fede per incontrare il Signore, di fraternità per comunicarci le esperienze della vita spirituale, della ricerca vocazionale, e della presenza cristiana negli ambienti di vita. Siete venuti da lontano e qui rappresentate i giovani dell’intero Continente in un’ora della storia che è un cambiamento d’epoca, come ricorda il Santo Padre Francesco. Al Papa esprimiamo il nostro affetto pieno di gratitudine, e assicuriamo la nostra filiale preghiera. Un saluto particolare va all’Arcivescovo di questa Chiesa, che ci accoglie cordialmente, e a S. Eminenza il Cardinale Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo. Il nostro Simposio guarda anche al prossimo appuntamento sinodale che – com’è noto – avrà come tema proprio i giovani.
  1. Il Vangelo ascoltato ci mette di fronte a Gesù, Figlio di Dio e Redentore del mondo. Come per la gente di allora, così oggi è necessario guardare a Lui con occhi limpidi, cioè senza pregiudizi o pretese. Questo significa essere disposti a misurare la nostra vita sulla sua parola che è verità e amore, non sulle nostre idee, impulsi, abitudini. Solo così riusciamo a vedere Gesù per quello che è, non per quello che vorremmo che fosse: “voi non avete mai ascoltato la sua voce – dice il Signore – né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete”.

Ci incontriamo così con una prima domanda: desidero veramente vedere il volto di Cristo, così com’è? Il suo è il volto dell’amore di Dio, ma l’amore è così difficile! Siamo fatti per amare ed essere amati, ma è così impegnativo, perché si tratta di lasciare il timone della nostra vita a Lui. Apri, Gesù, i nostri cuori, dà luce ai nostri occhi!

  1. Il Vangelo ci fa fare un secondo passo. Spesso, al fondo della fatica nella vita cristiana sta il desiderio di ricevere “gloria gli uni dagli altri”. Che cosa vuol dire? Vuol dire cercare il consenso altrui, la lode, l’approvazione anche a prezzo della verità: la verità di Gesù, del suo meraviglioso mistero, le sue parole di vita, le esigenze del suo amore. Allora i nostri occhi si velano, e non riescono più a riconoscere il volto bello del Signore: la realtà interiore diventa opaca, si deforma; si adatta il Vangelo alla mentalità mondana, come ricorda Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium.

Nasce una seconda domanda: cerco in modo esasperato il consenso degli altri, ho paura del giudizio, della critica, di essere isolato dal gruppo, di essere considerato fuori dal tempo? Sono libero dal pensiero unico dominante? La libertà non è arroganza e credersi migliore, ma sapersi graziato dalla misericordia di Dio, rinnovato ogni giorno dal suo Spirito.

  1. Infine, non possiamo dimenticare che siamo in questa splendida chiesa dedicata alla Sagrada Familia, e che stiamo celebrando la Messa della famiglia. Da questo grembo siamo nati: i nostri genitori non ci hanno scelti, hanno voluto un figlio; Dio, invece, ci ha scelti e ci ha chiamati per nome, ci ha disegnati sul palmo della sua mano. In questo essere conosciuti da sempre, sta la nostra dignità inviolabile, il nostro incomparabile valore, la bellezza della nostra vita in qualunque situazione si trovi. La famiglia è scuola di umanità e di fede, la prima palestra di virtù umane e cristiane, dove impariamo ad amare essendo amati, ad avere fiducia in noi, negli altri, nella vita. Impariamo ad essere liberi, ad averci in mano, ad essere signori di noi stessi. Impariamo ad essere responsabili, sentiamo di poter contare sugli altri e che gli altri contano su di noi. Impariamo la bellezza dei legami e dei limiti che ci salvano dalla presunzione e dall’arroganza, e che ci aprono agli altri per chiedere e offrire ascolto, parola, servizio d’amore. Impariamo la bellezza delle cose quotidiane. Impariamo a guardare verso il Cielo per poter vedere la terra. La famiglia è il riflesso visibile di Dio Comunione, di Dio Trinità: rende presente il suo amore nel mondo.

Si fa avanti una terza domanda: amo la mia famiglia? Sono incantato dal dono ricevuto? Le difficoltà ci sono ovunque, anche l’amore ha le sue fatiche, le sue delusioni; ma io mi sento parte attiva, oppure sono spettatore indifferente? Una famiglia che prega non sarà mai disperata, e nelle prove troverà sempre una via di superamento: prego con i miei genitori?

Cari amici, la Famiglia di Nazaret ci benedica e vi guidi per scoprire la volontà del Signore sulla vostra vita: solo nella sua volontà sarà la vostra gioia. Non abbiate paura: Lui chiede tutto, ma vi dà tutto, e il tutto di Dio è sconfinato! Il piccolo Gesù, la Santa Vergine, San Giuseppe, ci siano compagni di strada. Come ci esorta Sant’Agostino, vogliamo camminare cantando, non perché senza difficoltà e prove, ma perché sappiamo di non essere soli: Cristo è il viandante sempre accanto, e la Chiesa è la nostra casa.

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Fr. Michel Remery: Accompaniment of young people through beauty

30 March 2017 |by | 0 Comments | Texts, 30.03

Throughout the ages, the Church has had a special concern for beauty, art, architecture, and liturgy, for these are very powerful ways of accompanying people on their path of faith. The very concept of faith is that it goes beyond the concrete, visible reality of every day. Man has been created with a will, intellect and soul, taught Saint Thomas. All of these need to be addressed if we wish to help people advance in their understanding of God. In this context, the word “understanding” goes beyond the purely intellectual, involving also our more emotive side. Words alone, or intellectual logic alone, or heartwarming experiences alone are not enough to grasp something of the very being of God. On the one hand, God cannot be fully explained and described using our intellect in logical reasoning. He always remains an ineffable mystery to us, for God is always greater, as Saint Anselm reminded us. On the other hand, there are ways in which we can approach the very heart of that mystery. In doing so, we advance on our path of faith towards God.

Beauty, art, architecture, and liturgy, are not just poetry for the illiterate. They are powerful ways in which the presence and essence of God is expressed and experienced, whilst letting him be the ultimately ineffable being he is. In this sense, they are also powerful “tools” for those responsible for the accompaniment of people. This includes young people of today, for although the number of visits to museums and the theatre may be in decline, beauty, art, architecture and even liturgy speak a powerful language that can be understood without much prior explanation. These “tools’ speak on their own: they are there to be experienced and thus help the person to advance on their path with God. This corresponds with an important element of accompaniment, where the person who is accompanying needs to withdraw from time to time, and ‘let the Creator deal directly with the creature’, as Saint Ignatius of Loyola said. Obviously, this does not mean that the one accompanying needs only to walk behind, and respond to what is experienced. There are times where a clear lead is needed. Accompaniment means also spiritual guidance in the sense of helping to see beyond, of walking ahead where necessary. When young people are given just a few key elements to better read and understand beauty, art, architecture, and liturgy, they can better appreciate their deeper message, and let these “tools” help them to draw nearer to the mystery of God.

Liturgy has a bridge function between man and God. Whilst the form of the liturgy is of human making, its essence comes directly from God. For example, the way we celebrate the Eucharist is the product of a development throughout the ages, but the essence of what Jesus told his disciples to do in memory of himself never changed. The liturgy is a precious moment where heaven and earth momentarily come very close, as powerfully expressed in the singing of the Sanctus. The liturgy speaks to all the human senses: for example the hearing of words and music, the smelling of incense and perfumed oil, the sight of beauty and symbols, the touching and kissing of the cross or relics, the taste of bread and wine. The liturgy addresses the entirety of our human being, just as we have been created by God. He knows better than we what we need and what is important in our lives. In the liturgy, art and architecture play their highest role: here the ideas they transpire are funneled towards one single message, the love of God for every human being and his desire that they all will respond positively to his invitation.

In his design for the basilica of the Sagrada Família, the Spanish architect Antoni Gaudí intended to create a building that would both bring honour to God in every detail, and at the same time express the grandeur of his loving plan of salvation to all who visited it. In doing so, Gaudì created a monumental structure of evangelization. Being a devout Christian himself, he wished for others to encounter the love of God and he intended his work to contribute to this. So, even today, the tourist looking up at one of the towers of the basilica inadvertently praises God when they read the letters “Sanctus, Sanctus”. The visitor who takes time to contemplate one of the facades, will recognise that the story it tells goes beyond his or her experience on earth. And whoever enters the nave, will be struck by the light, the organic forms, the grandeur, and the natural way in which the eye is led towards the central place in this building, which is the altar space where the liturgy is celebrated. The strongest way in which beauty, art, and architecture come together in this masterwork of Gaudí is when participating in one of the great liturgies celebrated in the basilica. At that moment all comes together: whilst each of the senses is being addressed and helps to recognise the presence of God, the architecture as a whole points in only one direction, that of the love of God himself. In this sense, the basilica of the Sagrada Família is a great example of how beauty, art, architecture, and liturgy can be powerful allies in the accompaniment of young people today on their path with God.

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Msgr. Rino Fisichella: Evangelisation and good practices of accompaniment

31 March 2017 |by | 0 Comments | Texts, 30.03

Ci introduciamo con una considerazione del Documento preparatorio per il prossimo Sinodo, che aiuta ad entrare direttamente nel tema che ci è stato affidato: “Varie ricerche mostrano come i giovani sentano il bisogno di figure di riferimento vicine, credibili, coerenti e oneste, oltre che di luoghi e occasioni in cui mettere alla prova la capacità di relazione con gli altri (sia adulti, sia coetanei) e affrontare le dinamiche affettive. Cercano figure in grado di esprimere sintonia e offrire sostegno, incoraggiamento e aiuto a riconoscere i limiti, senza far pesare il giudizio” (I,2). Quasi a voler dare corpo a questo rilievo, il Documento, quando parla delle “figure di riferimento” sostiene che “Il ruolo di adulti degni di fede, con cui entrare in positiva alleanza, è fondamentale in ogni percorso di maturazione umana e di discernimento vocazionale. Servono credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento” (II,2).

La descrizione fatta possiede delle indicazioni importanti per entrare più direttamente nel tema dell’accompagnamento; soprattutto perché è richiesto che in questa fase “Si tratta di favorire la relazione tra la persona e il Signore, collaborando a rimuovere ciò che la ostacola” (II,4). La prospettiva di questo accompagnamento diventa ancora più impegnativa nel momento in cui la si colloca nell’orizzonte dell’evangelizzazione, che costituisce la missione peculiare della Chiesa e ne determina la sua stessa natura. La Chiesa vive con l’impegno quotidiano dell’evangelizzazione; se non fosse così verrebbe meno nella sua stessa essenza e priverebbe il mondo della parola di amore e speranza che il Vangelo comporta.

Accompagnare, tra l’altro, richiede un’attenzione del tutto particolare alla persona con cui si fa un tratto di strada insieme. Richiede l’ascolto, e quindi il silenzio necessario perché l’ascolto possa cogliere l’intimo e la profondità di chi parla. In questo contesto, è importante possedere la consapevolezza che quando si cammina insieme ci si accompagna reciprocamente e il movimento, pertanto, non è mai a senso unico. Papa Francesco nella Evangelii gaudium ha un’indicazione importante in proposito, quando scrive: “Uscire verso gli altri per giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada.” (Eg 46). Insomma, chi accompagna è anche accompagnato dalla persona che accompagna; e non potrebbe essere altrimenti. Il cammino lo si compie insieme, oppure è destinato ad essere inefficace. Accompagnare nel processo di evangelizzazione, inoltre, pone in primo piano la categoria di testimonianza con tutta la sua valenza significativa. Tornano quasi spontanee alla mente le parole di Paolo VI nella Evangelii nuntiandi: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (EN 41).

Insomma, accompagnare non è un percorso a senso unico; esso comporta la saggezza di chi sa di avere una responsabilità per condurre una persona verso la libertà. Ciò significa, rendersi partecipe di un movimento dinamico che permette di coniugare la verità del Vangelo con l’esigenza profonda racchiusa nell’intimo di ogni persona. In altre parole, accompagnare equivale a condurre la persona nel più profondo della propria esistenza, per scoprire la presenza di una chiamata alla verità, chiave di volta per realizzare la libertà, che permette di andare oltre noi stessi per affidarsi pienamente a un piano misterioso di Dio che porta senso e significato all’esistenza personale. Alla fine, siamo posti dinanzi alla scoperta di una vocazione vera, genuina, che spalanca gli orizzonti perché permette di scoprire qualcosa che, rinchiusi in se stessi, non si sarebbe mai neppure immaginato di poter realizzare.

Due icone bibliche

Tra i tanti testi con cui il Nuovo Testamento esprime l’esigenza di trovare persone capaci di accompagnare nella strada dell’annuncio del Vangelo, mi soffermo su due in modo particolare. Più di altri, forse, possono aiutare a comprendere uno stile, tra i tanti proposti, con cui siamo chiamati ad accompagnare in modo significativo i giovani oggi. La scelta della Parola di Dio mi è di particolare aiuto nel trattare questa tematica, soprattutto per sfuggire alle necessarie distinzioni che un tema come questo prevede e impone. Penso, più direttamente, alle condizioni ecclesiali, culturali, sociali che determinano la differenza degli approcci, mentre la Parola di Dio consente di avere un orizzonte propositivo che va oltre questi schemi, perché tocca ognuno nel profondo del proprio cuore e si presenta come un’esperienza universale.

  1. Il primo testo ci riporta alla Lettera agli Ebrei. L’autore sacro ha un’espressione lapidaria che soprattutto dinanzi al tema della “nuova evangelizzazione” non dovrebbe mai coglierci impreparati. Egli scrive: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8). L’annuncio del Vangelo non cambia con il passare dei tempi e delle generazioni. E’ sempre lo stesso, come ai primordi della Chiesa. E, tuttavia, l’autore sacro fa precedere a questa espressione un testo estremamente significativo: “Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio. Considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede” (Eb 13,7). Non siamo lontani dall’interpretazione coerente del testo se lo applichiamo a quanti svolgono il ministero dell’accompagnamento. Chi lo compie, di fatto, possiede un’autorevolezza che viene riconosciuta, e per questo è abilitato ad essere accompagnatore.

A un giovane oggi si potrebbe riferire questo stesso invito che viene dall’autore della Lettera: ricordati di chi ti accompagna! Prima di entrare nel merito del testo, è interessante osservare che il termine “capi” ha un significato particolare in questo specifico versetto. In tutta la Lettera, l’autore sacro fa riferimento ai “capi” chiamandoli normalmente “sacerdoti” o “vescovi”; qui, invece, usa il termine “egoumenoi”. Per comprendere il significato di questo termine è necessario tornare al vangelo di Luca dove Gesù, in risposta alla discussione tra i discepoli su chi fosse il “più grande”, dice: “chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve… io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,26-27). Il senso fondativo di chi è “capo” è quello di essere al servizio; ogni altra logica porterebbe fuori dall’orizzonte dell’insegnamento di Gesù. Il primo “servizio” che viene svolto da questi “capi”, comunque, è il ministero della Parola: “vi hanno predicato la parola di Dio”. Il servizio dell’accompagnamento, quindi, è in primo luogo quello di portare la persona all’incontro vivo con la Parola di Dio viva nella vita della Chiesa. La predicazione non è un fenomeno statico, ma dinamico. Essa fa riferimento alla parola che permane come espressione dell’interpellare, del provocare, del narrare, del sostenere, del consolare… insomma, la parola per sua stessa natura è dinamica. Anche quando si trasmette la Parola che era “fin dal principio”, essa è ancorata al Logos cioè alla persona del Figlio di Dio che attraversa i tempi e le culture per entrare in relazione personale con chiunque, nessuno escluso.

Il secondo tratto che emerge dal testo è la considerazione circa lo “stile di vita” dei “capi”. Il loro comportamento (anastojh) è coerente con l’annuncio della Parola; non solo per un momento della vita, ma fino alla fine. C’è un’arte dell’accompagnamento che è scolpita nello stile di vita di chi accompagna. L’accompagnatore, quindi, deve essere espressione di vivere all’ombra della Parola di Dio, perché segna la sua esistenza come spazio vivo che crea la forma del discepolato. L’esempio di passare lungo tempo nell’ascolto, nella meditazione, nello studio della parola di Dio non è un esercizio transitorio, ma impegno di vita che modella l’esistenza fino a renderla trasparente nell’azione dell’esistenza quotidiana.

Se quanto detto finora tocca in modo speciale la persona dell’accompagnatore, un altro versetto di questo stesso capitolo della Lettera agli Ebrei, fa emergere in maniera forte lo stile di chi è accompagnato: “Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi e devono renderne conto, affinché lo facciano con gioia e non lamentandosi. Ciò non sarebbe di vantaggio per voi” (Eb 13,17). Obbedire ed essere sottomessi non è un’azione passiva del giovane che viene accompagnato, ma un esercizio di libertà. All’autorevolezza che accompagna chi guida, corrisponde l’obbedienza di chi si affida. E’ interessante osservare che la stessa espressione viene usata da Luca quando parla di Gesù dodicenne che dopo essersi sottratto per tre giorni a Giuseppe e Maria, tornò a Nazareth e “stava loro sottomesso” (Lc 2,51). L’obbedienza cristiana non trova altro fondamento se non l’obbedienza di Cristo. Il comportamento di Gesù è fatto di ascolto e obbedienza docile e convinta al Padre. Questa è normativa per ogni altra forma di obbedienza che è richiesta nella Chiesa. Gesù non obbedisce alla sua “coscienza” né alle sue “convinzioni”, come facilmente obiettiamo noi oggi. L’obbedienza del Figlio di Dio è frutto dell’amore e sua conseguenza. Non si dimentichi, tuttavia, che per gli scritti neotestamentari l’obbedienza è rivolta alla verità; ciò che si richiede, pertanto, è l’obbedienza al Vangelo che è parola di verità. Non ci si allontana molto, affermando questo, da quanto si è precedentemente detto circa l’incontro con la Parola di Dio. L’obbedienza a chi accompagna è solo una mediazione, perché di fatto è obbedienza alla Parola di Dio e sottomissione alla sua volontà. Non si potrebbe comprendere tutta questa tematica fuori dall’orizzonte dell’amore: “Non c’è assolutamente nulla nella Chiesa –nemmeno il rapporto tra comando e obbedienza- che possa svolgersi fuori dall’amore” (H.U. von Balthasar, “Cristologia e obbedienza ecclesiale”, Saggi IV, 129). L’obbedienza come espressione della responsabilità personale di chi sa rinunciare a qualcosa in vista della libertà, è la condizione della crescita personale nella fede e nella vita del discepolato. Ecco perché chi guida dovrà essere capace di vigilare; cioè di seguire in modo discreto e nel rispetto delle scelte che vengono compiute per essere sempre capace di un accompagnamento frutto dell’amore che educa, più che di un geloso possesso delle proprie convinzioni e della persona che è sempre posta dinanzi a Cristo e a nessun altro.

La preghiera, rimane a questo punto, il richiamo decisivo perché le due persone in gioco possano essere consapevoli del grande dono che viene reciprocamente fatto nell’orizzonte dello Spirito che guida i passi di ambedue.

  1. Il secondo testo fa riferimento all’apostolo Paolo quando scrive: “Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo. Vi prego, dunque: diventate miei imitatori! Per questo vi ho mandato Timòteo, che è mio figlio carissimo e fedele nel Signore: egli vi richiamerà alla memoria il mio modo di vivere in Cristo, come insegno dappertutto in ogni Chiesa” (1 Cor 4,14-17). Nel suo dialogo con i cristiani di Corinto, Paolo traccia le linee costitutive dell’evangelizzatore: è un imitatore di Cristo. Una persona al servizio di Cristo perché la comunità possa nascere e crescere. Ciò che i Corinzi fanno di richiamarsi a un apostolo o all’altro non ha senso (cfr 1,12); non ha neppure senso voler rincorrere i carismi per avere più autorità sugli altri (cfr 12-13). Ciò che conta, invece, è assumere su di sé la logica della croce che esula da ogni forma di autoesaltazione per rinviare ognuno al mistero della propria chiamata. La categoria dell’imitazione non è affatto frequente nel Nuovo Testamento; appartiene molto di più alla tradizione greco-romana. Delle sole sei volte in cui il termine “imitatore” si incontra (cfr Ef 5,1; Fil 3,17; 1Ts 2,14; Eb 6,12), cinque sono presenti in Paolo. In questa stessa lettera, egli ripeterà con altrettanta forza: “Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (11,1). Come dire: io, l’apostolo, sono solo una copia di Cristo, il vero prototipo a cui guardare e su cui coniugare tutta l’esistenza è solo Gesù. E, comunque, l’apostolo fa riferimento al suo stile di vita: “il mio modo di vivere”. La cosa non è priva di significato soprattutto per il nostro tema. La vita di fede è appunto una “vita” che è caratterizzata dall’incontro con il Signore, dall’essere attratti dal suo amore e dal divenire giorno dopo giorno suoi discepoli. In questa visione della vita, con ragione potrà dire Paolo in Galati: “non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20).

Certo, l’esempio di Paolo è sconvolgente. Riprendere tra le mani il suo testamento fa toccare con mano la sua convinzione che nonostante l’esistenza contraddittoria, Dio aveva scelto proprio lui: “Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù… (egli) è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (1 Tm 1,12-16). Permettere di cogliere la “magnanimità” di Dio, cioè la sua straordinaria generosità nei miei confronti, perché nonostante la mia debolezza e contraddizione ha scelto me per annunciare il suo Vangelo.

L’orizzonte vocazionale, pertanto, rimane come lo sfondo su cui agire per verificare la grandezza di un percorso verso il quale incamminarsi per raggiungere l’obiettivo della conquista. E’ ciò che permette di scoprire che Dio ha bisogno di me. La vocazione, dopotutto, non si fonda previamente sulle qualità che si possiedono; forse, si dovrebbe dire proprio il contrario: la corrispondenza alla vocazione consente di dare valore e sostegno a quanto si è. Aiutare a scoprire il primato di Dio nella nostra vita e la forza della sua grazia diventano lo strumento mediante il quale giungere con consapevolezza a orientare la propria esistenza. Una vocazione, dopotutto, non è mai un’improvvisazione; essa, piuttosto, è la scoperta di un progetto che viene da lontano e del quale, forse, per distrazione non ero ancora consapevole. Dovremmo ripetere con Paolo: “quando Dio, che mi mise a parte (ajorisaV) fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia” (Gal 1,15). Cogliere la presenza perenne e costante di Dio nella mia vita è il servizio basilare che chi accompagna deve ritenere come sua responsabilità personale. Tu fai parte di un progetto di Dio all’interno del quale scopri la tua dignità personale per la realizzazione della tua esistenza.

Conclusione

Le considerazioni fatte portano di nuovo al Documento preparatorio, che può a buon diritto essere assunto come conclusione: l’annuncio del Vangelo richiede la capacità di farlo entrare nella cultura, veicolo essenziale per comunicare. Esiste una “cultura giovanile” che ha bisogno di essere evangelizzata (cfr. III,1), attraverso l’entusiasmo di quanti sono chiamati a far emergere nel cuore dei giovani il desiderio dell’incontro con Gesù Cristo e la forza dell’amore che trasforma.

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Sister Lola Arrieta, Carmelite Sister of the Caridad de Vedruna

30 March 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 29.03

The text of Sr. Lola Arrieta, Carmelite Sister of the Caridad de Vedruna, expert in the accompaniment of young people is availble in PDF here.

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Msgr Oscar Cantoni, Bishop of Como

18 April 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 29.03

SANTA MESSA PER LE VOCAZIONI – OMELIA

L’espressione finale del Vangelo di oggi: “Non cerco la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato” (Gv 5, 30), mentre richiama la totale, docile sottomissione filiale di Gesù dal Padre suo, ci assicura che per ogni discepolo del Signore, compiere la volontà di Dio, e quindi seguire la propria chiamata secondo il suo volere, è il modo migliore per conformarsi a Gesù, che fu obbediente e fedele al Padre fino alla fine. Pregare per le vocazioni significa innanzitutto questo: chiedere al Signore Gesù di aiutare i suoi discepoli a diventare come Lui: servo obbediente del Padre e quindi dei fratelli.
Accompagnare i giovani nel non facile discernimento vocazionale è un compito esaltante, tanto più quando si tratta di aiutarli a seguire Gesù nella vita consacrata o nel ministero ordinato. Per questo, noi oggi eleviamo al Padre, unendoci alla preghiera del Figlio suo, la nostra supplica, animati dal soffio dello Spirito Santo: “manda, Signore, apostoli santi alla tua Chiesa”.

Perché l’Europa ritrovi una rinnovata giovinezza dello spirito e riscopra i valori fondamentali che hanno caratterizzato il suo progetto fondativo, fondato sulla dignità trascendente dell’uomo, sulla difesa di valori quali la libertà, la giustizia, l’amore alla famiglia, il rispetto della vita, la causa della pace, c’è bisogno dell’impegno attivo e responsabile di tutti i cristiani.  C’è bisogno anche di consacrati e consacrate, che vivano di profezia, pronti a testimoniare che la fraternità è possibile, che la accoglienza dei poveri, dei profughi, dei migranti si può realizzare, che la solidarietà nasce dalla capacità di donarsi agli altri per amore di Gesù. l’Europa ha ancor più bisogno di sacerdoti che guidino con saggezza, e non da rassegnati, il popolo di: Dio e aiutino a riscoprire la dimensione trascendente della vita, dal momento che l uomo europeo non può bastare a se stesso, né’ può accontentarsi di uno stile di vita fondato troppo spesso solo sul benessere materiale.

Pregare per le vocazioni al sacerdozio significa riferire ai chiamati di oggi la stessa missione che Dio ha affidato al popolo di Israele, esiliato in Babilonia, ripreso nella prima lettura di oggi (Is 49, 8-9), quando il Signore Dio ricorda di averlo formato e stabilito come strumento di salvezza. La chiamata di Dio al ministero si traduce sempre in una missione di servizio a vantaggio degli altri. Inoltre la parola di Dio puntualizza lo scopo preciso di chi è chiamato: quello di ” far risorgere la terra,” cioè di promuovere nel nostro mondo, dominato dall’egoismo, una nuova umanità, capace di solidarietà e di impegno verso gli altri. La missione dei sacerdoti è quella di partecipare alla liberazione dell’uomo dalle tante moderne schiavitù, di dire ai prigionieri (del potere, delle mode, delle varie dipendenze, “uscite!” e a quelli che sono nelle tenebre, cioè privi della luce liberante del Signore risorto: “venite fuori!”. È’ una missione che invoca per tutti un “supplemento d’anima” che solo Dio può offrire e che noi però possiamo domandare con insistenza, appunto attraverso la nostra costante, umile e fiduciosa preghiera.

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Msgr Jean-Claude Hollerich, Archbishop of Luxembourg

18 April 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 29.03

ACCOMPANIMENT OF A PERSON THROUGHOUT LIFE

My task in introducing the accompaniment of persons from birth to death is both easy and very complicated at the same time. It is easy because the mission of the Church for such an accompaniment is self-evident …. So the difficult task lies on giving a framework and showing some new aspect in this regard. I would like to speak out of my experience having worked at Sophia University in Japan where I had the chance of being a priest with students, professors, employees, alumni etc.

Allow me to quote the Spiritual Exercises of Saint Ignatius at the beginning: the first preamble of the first contemplation of the second week: “to remember the story I have to contemplate: Here, the three divine Persons looking over the whole universe, filled with people. And seeing all of them descending into Hell, they decide in their eternity that the Second Person should become man in order to save mankind.”

This is the mission the Church shares with Christ; help that people be saved. As a bishop, a priest or a lay person, I have to work for the salvation of the people we meet and God makes us to meet.

Let me start my narration with the struggle for life. One of our students got pregnant ….. the family wanted the young woman to have an abortion. In many conversations we could convince the student to keep the baby; this was not only my work, but a common work with all of her friends … community work … later on I could become godfather of the son who got born. Caring for life at the beginning sometimes means caring for the unborn life …

I had the chance of baptizing every year some of my students. With time I noticed that a good number of them had been in a catholic kindergarden, originally fourded by nuns of different congregations but now very often under the care of devoted lay women. They used to sing some catholic hymns like “Mariasama no kokoro” … “the heart of Lady Mary” … they experienced that song as an expression of great piety. They learned to make their heart silent and speak with Jesus. As young students they still had a longing for this original piety and they got curious about God and Christianity.

How often could I meet with parents and appreciate their love for their children … the values they have transmitted not so much through words but through daily family life. How could I have spoken to my students about God being a father without the love of their families. If we look back to our own stories of faith we very often have to go back to our families.

What a joy introducing the little ones to Holy Communion … to see how children can grasp a mystery … how the little hearts can be filled with big love and devotion …

The difficulties to keep faith in puberty … when the ego is in revolt against any kind of authority including religious authority … what a pleasure to have priests who can be friends … who can understand the revolt without sharing it.

I shall not speak about youth … there will be other occasions in this meeting …

Marriage … what a wonderful step to true love. The marriage preparation team in our St Ignatius Parish was composed by priests, nuns, married couples … who could share their own married life … as a priest I was clearly at the learning side … the whole joy of preparing the wedding ceremony. I must inform you about a Japanese particularity: a Church blessing for non-christian couples … It is a good example that our pastoral care has to be for Christians as well as for non-christians … to be missioned for the salvation of the people who cross our path.

Let me introduce the pastoral care for our former students. In Japan there are many group for women … men are more often absent in our Churches in Japan because they have to work, and on Sunday they have to sleep … otherwise they cannot survive. One parish priest had the fantastic idea of opening a bar in Shinjuku where men, tired of their work, can come late in the evening to have a drink … and to be able to speak with this priest … speaking about their frustration at work. From my own experience I can relate that conversations with men in between 30 and 50 years of age which included topics like couple problems … no sexual intercourse anymore because of their tiredness after work … their feeling estranged from their wife … not having much time for real communication …  their frustration of having no time for their children, their temptations of suicide … so many white collar workers who really belong to the poorest of the poor.

And after retirement the difficulty of having to form again a family … the feeling of uselessness.

When serious illness threatens: help people to face death … be at the side of the persons in their loneliness of old age and death.

In my diocese I sometimes feel that the Church organizes the liturgies or the sacraments … but we lack the pastoral care for people, we lack in humanity … in brotherly love. If we consider that the Second Person of the Holy Trinity became man for the salvation of people … do we not need to become more human in order to be more like God …

To accompany human persons means to love them, to give them all of our human affection without depending on their response … to give without taking the freedom away for people … to empower them.

We need a lot of respect for the people we have the chance to accompany. Christ precedes us is in their culture, their life, their heart.

We need a lot of humility … because we know that God does not love us more than them.

We have to help them to go forward in the path of their life which is a path where they are first accompanied by Christ. Faith is a dynamic concept: we have to help people to progress in faith. Here I would like to stress the concept of discernment …. To take the best possible decisions … and every best possible decision is a step to meet the Fountain of all … to accept and to collaborate with our salvation.

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Witness – Young Greek-Catholic Seminarian

29 March 2017 |by | 0 Comments | Texts, 29.03

Good morning! My name is Mate Szaplonczay. I am a Greek Catholic seminarist from Hungary. This is my last year in the seminary, so I am in the beautiful situation of being still accompanied and of having to be ready for accompanying others at the same time. I consider the accompaniment to be very important in general and in my personal life as well.

I am sure that my balanced relationship with God, and my vocation are thanks to the Holy Spirit, to God’s mercy, and to the people who accompanied me during my whole journey. I would like to talk briefly about my good experiences and thoughts about accompaniment.

I will try to organize them in some points.

  1. The first is the importance of listening. Young people desire to be listened and to be asked about their opinions. They can be very creative and they have some really good suggestions. Here I would like to say thanks to CCEE for their kindly invitation, I am glad to be here with the other young speakers to share our experiences with you. I think CCEE did a good work, since I am convinced that, when we are talking about accompaniment of the youth we should invite them to the discussion. I am sure that the session of “Good practices” tomorrow morning will be also a great open-space for us to learn from each other.
  1. So, my second point is about the good examples. When we talk about accompanying young people, we should keep in mind, that examples are always more important than any words. I will never forget what people said about Saint Francis de Sales, Bishop of Genève: “If the bishop is so good, how good can be the God”. He was a living example of God’s love. For the youth I think not the words what are counting but the acts and things behind them.
  1. Support

Sometimes it seems to be not efficient to accompany a young person without the support of their relationships. Most of the cases in the contemporary Europe the family background doesn’t help youth to find the true meaning of their lives. It might be because there are more and more wounded families, or, for example in the post-soviet countries like Albania or Hungary a whole generation grew up without religion. Since not all the schools are religious, we have to create good parish groups and communities, where they can find precious friends, with whom they can support each other to a better way. I’d like to notice here, that the disciples of Emmaus were two of them, and I suppose they supported each other.

  1. Go where they are

Don Bosco said: “Consider important what they think to be important, and then they will consider important what you think to be important.”

It is very rare that a young person goes to the church or to a religious communion by his own. We have to go among them. We have to go out, we have to go and bring the message of Jesus to others – as Pope Francis said explaining that the Good News is meant to be shared, not stored away. I would like to tell a good example to you. There is an initiation in Hungary called Central Point (Közös Pont). This is an ecumenical mission of the Catholic Church in cooperation with the Lutheran and Calvinist Churches, which is about pre-evangelization on the bigger music festivals. There are at least eighty-hundred thousand young people on these festivals, and we created a space where they can come in anytime, and where they are listened. When I first participated in this mission I was surprised how many of them came in to talk. Most of the incomers were atheist or indifferent, and we had a lot good experiences. Some of them came back in the following years, there were some who told that they were looking for this tent directly. There I was able to feel what pre-evangelization means.

  1. Common Work

My personal experience is that work can bring people closer to each other. I am happy to see all the initiatives which involve volunteers. I and other young people tend to say that we are exhausted and overloaded. But don’t believe us! We have a lot of power and fuel inside, we are just lazy sometimes. But if we discover our stores, we will admit that these opportunities are important and precious, because all the youth can have a common goal to achieve, and the team-work can make them feel that they are connected, and that they have responsibilities for each other. I have a good example of my area in this topic: the Camp Saint Damien. The story of it goes back to the 90’s, when several seminarists decided to pray for disabled people together every day of the year. A few years later they organized a camp for 20 disabled children, and by now we have more than 200 disabled participants each summer with the help of more than 400 volunteers, who are not only take part in the Camp on the summer, but during the whole year there are weekly praying occasions for the participants.

  1. Personal care

Each young person is unique and all of them need a special care. They can feel if it doesn’t come from your heart. A good human relation is necessary for the accompaniment. Let me cite Don Bosco again: “Young people must not only be loved; but they must know they are loved”.

Conclusion

An other quotation which – I think – summarizes very well the meaning of accompanying young people:

“For you I study, for you I work, for you I live and for you I am willing to give my life.” (Don Bosco)

At the end of my speech, I’d like to quote the sentence of the disciples of Emmaus:

“Were not our hearts burning within us, while he talked with us?”

May the Holy Spirit help us to get the heart of the youth burning within them!

Thank You for listening!

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Witness – Young Woman form Albania

29 March 2017 |by cceesitesAdmin | 0 Comments | Texts, 29.03

Sono felice di essere in mezzo a voi e dare la mia testimonianza. Mi chiamo Jona. Sono cresciuta in una famiglia musulmana. La mia nonna aveva una grande fede in Dio e pregava ogni giorno. Lei è stata la prima persona che mi ha parlato di Dio. Cosí ho cominciato a conoscere Dio ed a pregare da quando ho avuto tre anni. È interessante il fatto che la mia nonna era musulmana ma mi parlava di Dio come se fosse una fedele cattolica. Mi diceva sempre che Dio era un Padre che mi amava e che Lui non mi avrebbe mai abbandonato. Lei, senza saperlo, con le sue parole e con il suo amore, mi ha dato un’ importante testimonianza di fede cattolicà. A volte penso che il suo cuore già conosceva la verità di Dio, quella verità che non aveva avuto la possibilità di conoscere direttamente. Dico così perchè sono sicura che Gesù Cristo ha abbracciato ogni cuore umano di quelli che sono vissuti nel passato, di quelli che vivono oggi e di tutti quelli che vivrano nel futuro.

All’età di sei anni i miei genitori mi hanno iscritto nella scuola cattolicà delle suore del “Sacro Costato”. Così è iniziato il mio viaggio di fede. Ricordo con nostalgia il giorno in cui sono entrata per la prima volta nella scuola. Era un ambiente sereno. Appena sono entrata ho visto una grande croce. La seconda cosa che mi ha colpito era la stanza piena di bambini felici che ridevano e giocavano; c’erano tanti giocattoli e bei disegni fatti dai bambini. Una suora mi ha abbracciato e mi ha preso per mano a mostrarmi gli altri ambienti. Non ho mai dimenticato il suo sorriso. Mi sono sentita a casa.

Durante gli anni di studio pregavo tanto, quasi ogni giorno, nella cappella della scuola, ed ho cominciato piano piano a conoscere la fede cattolica. Le suore mi hanno dato un grande esempio di fede e anche di servizio e amore per gli altri. Noi studenti eravamo tutti come i loro figli. Crescendo in un ambiente cattolico, ho realmente capito cosa vuol dire essere rispettata e mi sono sentita rispettata. Ho imparato che ognuno deve essere amato, nonostante la sua condizione o i suoi sbagli, perchè ognuno è un figlio amato da Dio, ognuno ha un’unica identità. Ho imparato a vedere gli altri come fratelli e sorelle e anche ad amarli. Ho vissuto la forza e la infinita gioia che viene dalla preghiera: esperienze che poi mi hanno accompagnato per tutta la mia vita.

Le suore mi hanno accompagnato per nove anni della mia vità, dall’asilo fino al liceo. Loro sono state per me la mia seconda famiglia. Con loro frequentavo il catechismo, pregavo, ridevo, ballavo, cantavo e giocavo ogni giorno. Con loro ero felice. La cosa più importante di questo viaggio di nove anni é il fatto che io mi sono sempre sentita libera di essere me stessa, e anche amata senza condizioni . Durante questi anni ho imparato il valore e l`importanza dell`amore vero e puro, di quell’amore che non conosce limiti e condizioni umane.

Ho frequentato il liceo in una scuola dei Gesuiti. Gli esercizi spirituali, la santa messa e la preghiera erano diventati cibo per la mia anima. Sopratutto le frasi del Vangelo mi riempivano di profonda gioia, di amore per gli altri e di un grande coraggio nei confronti della vita.

Ho continuato cosí per i quattro anni di liceo. Nel 2011 ho cominciato l’Universitá e contemporaneamente è iniziato un periodo difficilissimo della mia vita: per la prima volta mi sono arrabbiata con Dio, ho smesso di pregare e non sono più andata in chiesa. Ho trascorso quattro anni nel buio, senza luce. Un giorno, dopo tanto tempo, sono andata a visitare le suore della scuola dove avevo studiato per nove anni. E` stato un momento chiave nella mia vita. Loro erano le stesse di sempre. Mi hanno abbracciato con amore e grande gioia. Dopo l’incontro con le suore, ho ricordato tutto: le messe e le preghiere vissute insieme, i giorni pieni di felicità. Quei ricordi sono stati una candela di luce in mezzo al buio profondo. Dopo tanto tempo, mi sono rimessa in piedi, per pregare. Ho capito che tutto quello che stavo ricordando aveva un solo nome: si chiamava amore. Tutta quella storia era la mia storia d`amore. Durante quel lungo e triste periodo, Dio stava scrivendo una storia d’amore per me. E questo, Dio lo fa con tutti. Lui ha una speciale storia d’amore con ognuno.

Da quel giorno, ho cominciato a leggere il Vangelo e ad andare in chiesa per pregare. Spesso durante la preghiera mi veniva un grande desiderio di ricevere il Battesimo. Era come una chiamata, una richiesta che veniva dalla profonditá della mia anima ma, a causa della famiglia e della mentalita` che esiste nel mio paese, non avevo il coraggio di accettare ciò che il mio cuore cercava e desiderava.

Un giorno, in un incontro di giovani, alla S.Messa, mi hanno incaricato di leggere questa preghiera: “Dio, fá che la luce che hai acceso in noi con il Battesimo, non si spenga mai, da nessuna difficoltà, ma sempre splenda per te”. Dopo questa preghiera, mi sono sentita fortemente convinta di voler ricevere il Battesimo, soprattutto ero convinta che Dio voleva farmi un grande regalo, ed io gli volevo fare una promessa per sempre, con il mio Battesimo.

La Domenica di Pasqua dello scorso anno, ho ricevuto il Battesimo e la Prima Comunione. Da quel giorno la mia vita é totalmente cambiata. Il buio é scomparso. La luce di Cristo ha riempito la mia vita. Ho cominciato a camminare con Gesù ogni giorno, facendo dei piccoli passi. Il Vangelo mi riempie ogni giorno di gioia e di felicitá profonda. Nel Vangelo ho trovato le risposte che cercavo per la mia vita. La santa Messa e la preghiera mi riempiono di profonda pace spirituale. Attraverso i Sacramenti della Sua Santa Chiesa, Dio mi ha fatto il regalo più grande che un Padre possa fare alla sua figlia: una nuova vita!

I cambiamenti sono venuti gradualmente, con il tempo, ma ciò che Dio mi ha regalato attraverso lo Spirito Santo, é la forza e il coraggio di cambiare.

Quello che vi voglio comunicare é che Dio continua a parlarci ogni giorno. Noi dobbiamo solo ascoltarlo. Lui non si stanca mai di dirci che ci ama.

Per me, vivere la fede cattolica, significa vivere ogni giorno una promessa d’amore. Con la croce di Gesù noi abbiamo una promessa d’amore, per sempre! Una promessa fatta dal Padre per tutti i suoi figli. Io, sempre, quando faccio il segno della croce, ricordo questa promessa. Gesù ha vinto sulla morte per dirci che l’amore di Dio sempre vincerà! Il suo amore é l’unica realtá che vincerá. Noi sappiamo questo con sicurezza, perché Gesù stesso lo ha dimostrato.

Allora, se realmente viviamo e abbracciamo forte questa promessa, ogni momento della nostra vita sará riempito di gioia vera e pura, gioia che viene solo da Dio.

Con Gesù possiamo sempre ricominciare di nuovo. Con Lui possiamo cambiare, trasformarci e anche rinascere in una nuova vita. Lui é nato perché noi possiamo rinascere di nuovo.

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