Cari Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore
Cari Amici
Ci incontriamo così con una prima domanda: desidero veramente vedere il volto di Cristo, così com’è? Il suo è il volto dell’amore di Dio, ma l’amore è così difficile! Siamo fatti per amare ed essere amati, ma è così impegnativo, perché si tratta di lasciare il timone della nostra vita a Lui. Apri, Gesù, i nostri cuori, dà luce ai nostri occhi!
Nasce una seconda domanda: cerco in modo esasperato il consenso degli altri, ho paura del giudizio, della critica, di essere isolato dal gruppo, di essere considerato fuori dal tempo? Sono libero dal pensiero unico dominante? La libertà non è arroganza e credersi migliore, ma sapersi graziato dalla misericordia di Dio, rinnovato ogni giorno dal suo Spirito.
Si fa avanti una terza domanda: amo la mia famiglia? Sono incantato dal dono ricevuto? Le difficoltà ci sono ovunque, anche l’amore ha le sue fatiche, le sue delusioni; ma io mi sento parte attiva, oppure sono spettatore indifferente? Una famiglia che prega non sarà mai disperata, e nelle prove troverà sempre una via di superamento: prego con i miei genitori?
Cari amici, la Famiglia di Nazaret ci benedica e vi guidi per scoprire la volontà del Signore sulla vostra vita: solo nella sua volontà sarà la vostra gioia. Non abbiate paura: Lui chiede tutto, ma vi dà tutto, e il tutto di Dio è sconfinato! Il piccolo Gesù, la Santa Vergine, San Giuseppe, ci siano compagni di strada. Come ci esorta Sant’Agostino, vogliamo camminare cantando, non perché senza difficoltà e prove, ma perché sappiamo di non essere soli: Cristo è il viandante sempre accanto, e la Chiesa è la nostra casa.
KEEP READINGThroughout the ages, the Church has had a special concern for beauty, art, architecture, and liturgy, for these are very powerful ways of accompanying people on their path of faith. The very concept of faith is that it goes beyond the concrete, visible reality of every day. Man has been created with a will, intellect and soul, taught Saint Thomas. All of these need to be addressed if we wish to help people advance in their understanding of God. In this context, the word “understanding” goes beyond the purely intellectual, involving also our more emotive side. Words alone, or intellectual logic alone, or heartwarming experiences alone are not enough to grasp something of the very being of God. On the one hand, God cannot be fully explained and described using our intellect in logical reasoning. He always remains an ineffable mystery to us, for God is always greater, as Saint Anselm reminded us. On the other hand, there are ways in which we can approach the very heart of that mystery. In doing so, we advance on our path of faith towards God.
Beauty, art, architecture, and liturgy, are not just poetry for the illiterate. They are powerful ways in which the presence and essence of God is expressed and experienced, whilst letting him be the ultimately ineffable being he is. In this sense, they are also powerful “tools” for those responsible for the accompaniment of people. This includes young people of today, for although the number of visits to museums and the theatre may be in decline, beauty, art, architecture and even liturgy speak a powerful language that can be understood without much prior explanation. These “tools’ speak on their own: they are there to be experienced and thus help the person to advance on their path with God. This corresponds with an important element of accompaniment, where the person who is accompanying needs to withdraw from time to time, and ‘let the Creator deal directly with the creature’, as Saint Ignatius of Loyola said. Obviously, this does not mean that the one accompanying needs only to walk behind, and respond to what is experienced. There are times where a clear lead is needed. Accompaniment means also spiritual guidance in the sense of helping to see beyond, of walking ahead where necessary. When young people are given just a few key elements to better read and understand beauty, art, architecture, and liturgy, they can better appreciate their deeper message, and let these “tools” help them to draw nearer to the mystery of God.
Liturgy has a bridge function between man and God. Whilst the form of the liturgy is of human making, its essence comes directly from God. For example, the way we celebrate the Eucharist is the product of a development throughout the ages, but the essence of what Jesus told his disciples to do in memory of himself never changed. The liturgy is a precious moment where heaven and earth momentarily come very close, as powerfully expressed in the singing of the Sanctus. The liturgy speaks to all the human senses: for example the hearing of words and music, the smelling of incense and perfumed oil, the sight of beauty and symbols, the touching and kissing of the cross or relics, the taste of bread and wine. The liturgy addresses the entirety of our human being, just as we have been created by God. He knows better than we what we need and what is important in our lives. In the liturgy, art and architecture play their highest role: here the ideas they transpire are funneled towards one single message, the love of God for every human being and his desire that they all will respond positively to his invitation.
In his design for the basilica of the Sagrada Família, the Spanish architect Antoni Gaudí intended to create a building that would both bring honour to God in every detail, and at the same time express the grandeur of his loving plan of salvation to all who visited it. In doing so, Gaudì created a monumental structure of evangelization. Being a devout Christian himself, he wished for others to encounter the love of God and he intended his work to contribute to this. So, even today, the tourist looking up at one of the towers of the basilica inadvertently praises God when they read the letters “Sanctus, Sanctus”. The visitor who takes time to contemplate one of the facades, will recognise that the story it tells goes beyond his or her experience on earth. And whoever enters the nave, will be struck by the light, the organic forms, the grandeur, and the natural way in which the eye is led towards the central place in this building, which is the altar space where the liturgy is celebrated. The strongest way in which beauty, art, and architecture come together in this masterwork of Gaudí is when participating in one of the great liturgies celebrated in the basilica. At that moment all comes together: whilst each of the senses is being addressed and helps to recognise the presence of God, the architecture as a whole points in only one direction, that of the love of God himself. In this sense, the basilica of the Sagrada Família is a great example of how beauty, art, architecture, and liturgy can be powerful allies in the accompaniment of young people today on their path with God.
KEEP READINGCi introduciamo con una considerazione del Documento preparatorio per il prossimo Sinodo, che aiuta ad entrare direttamente nel tema che ci è stato affidato: “Varie ricerche mostrano come i giovani sentano il bisogno di figure di riferimento vicine, credibili, coerenti e oneste, oltre che di luoghi e occasioni in cui mettere alla prova la capacità di relazione con gli altri (sia adulti, sia coetanei) e affrontare le dinamiche affettive. Cercano figure in grado di esprimere sintonia e offrire sostegno, incoraggiamento e aiuto a riconoscere i limiti, senza far pesare il giudizio” (I,2). Quasi a voler dare corpo a questo rilievo, il Documento, quando parla delle “figure di riferimento” sostiene che “Il ruolo di adulti degni di fede, con cui entrare in positiva alleanza, è fondamentale in ogni percorso di maturazione umana e di discernimento vocazionale. Servono credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento” (II,2).
La descrizione fatta possiede delle indicazioni importanti per entrare più direttamente nel tema dell’accompagnamento; soprattutto perché è richiesto che in questa fase “Si tratta di favorire la relazione tra la persona e il Signore, collaborando a rimuovere ciò che la ostacola” (II,4). La prospettiva di questo accompagnamento diventa ancora più impegnativa nel momento in cui la si colloca nell’orizzonte dell’evangelizzazione, che costituisce la missione peculiare della Chiesa e ne determina la sua stessa natura. La Chiesa vive con l’impegno quotidiano dell’evangelizzazione; se non fosse così verrebbe meno nella sua stessa essenza e priverebbe il mondo della parola di amore e speranza che il Vangelo comporta.
Accompagnare, tra l’altro, richiede un’attenzione del tutto particolare alla persona con cui si fa un tratto di strada insieme. Richiede l’ascolto, e quindi il silenzio necessario perché l’ascolto possa cogliere l’intimo e la profondità di chi parla. In questo contesto, è importante possedere la consapevolezza che quando si cammina insieme ci si accompagna reciprocamente e il movimento, pertanto, non è mai a senso unico. Papa Francesco nella Evangelii gaudium ha un’indicazione importante in proposito, quando scrive: “Uscire verso gli altri per giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada.” (Eg 46). Insomma, chi accompagna è anche accompagnato dalla persona che accompagna; e non potrebbe essere altrimenti. Il cammino lo si compie insieme, oppure è destinato ad essere inefficace. Accompagnare nel processo di evangelizzazione, inoltre, pone in primo piano la categoria di testimonianza con tutta la sua valenza significativa. Tornano quasi spontanee alla mente le parole di Paolo VI nella Evangelii nuntiandi: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (EN 41).
Insomma, accompagnare non è un percorso a senso unico; esso comporta la saggezza di chi sa di avere una responsabilità per condurre una persona verso la libertà. Ciò significa, rendersi partecipe di un movimento dinamico che permette di coniugare la verità del Vangelo con l’esigenza profonda racchiusa nell’intimo di ogni persona. In altre parole, accompagnare equivale a condurre la persona nel più profondo della propria esistenza, per scoprire la presenza di una chiamata alla verità, chiave di volta per realizzare la libertà, che permette di andare oltre noi stessi per affidarsi pienamente a un piano misterioso di Dio che porta senso e significato all’esistenza personale. Alla fine, siamo posti dinanzi alla scoperta di una vocazione vera, genuina, che spalanca gli orizzonti perché permette di scoprire qualcosa che, rinchiusi in se stessi, non si sarebbe mai neppure immaginato di poter realizzare.
Due icone bibliche
Tra i tanti testi con cui il Nuovo Testamento esprime l’esigenza di trovare persone capaci di accompagnare nella strada dell’annuncio del Vangelo, mi soffermo su due in modo particolare. Più di altri, forse, possono aiutare a comprendere uno stile, tra i tanti proposti, con cui siamo chiamati ad accompagnare in modo significativo i giovani oggi. La scelta della Parola di Dio mi è di particolare aiuto nel trattare questa tematica, soprattutto per sfuggire alle necessarie distinzioni che un tema come questo prevede e impone. Penso, più direttamente, alle condizioni ecclesiali, culturali, sociali che determinano la differenza degli approcci, mentre la Parola di Dio consente di avere un orizzonte propositivo che va oltre questi schemi, perché tocca ognuno nel profondo del proprio cuore e si presenta come un’esperienza universale.
A un giovane oggi si potrebbe riferire questo stesso invito che viene dall’autore della Lettera: ricordati di chi ti accompagna! Prima di entrare nel merito del testo, è interessante osservare che il termine “capi” ha un significato particolare in questo specifico versetto. In tutta la Lettera, l’autore sacro fa riferimento ai “capi” chiamandoli normalmente “sacerdoti” o “vescovi”; qui, invece, usa il termine “egoumenoi”. Per comprendere il significato di questo termine è necessario tornare al vangelo di Luca dove Gesù, in risposta alla discussione tra i discepoli su chi fosse il “più grande”, dice: “chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve… io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,26-27). Il senso fondativo di chi è “capo” è quello di essere al servizio; ogni altra logica porterebbe fuori dall’orizzonte dell’insegnamento di Gesù. Il primo “servizio” che viene svolto da questi “capi”, comunque, è il ministero della Parola: “vi hanno predicato la parola di Dio”. Il servizio dell’accompagnamento, quindi, è in primo luogo quello di portare la persona all’incontro vivo con la Parola di Dio viva nella vita della Chiesa. La predicazione non è un fenomeno statico, ma dinamico. Essa fa riferimento alla parola che permane come espressione dell’interpellare, del provocare, del narrare, del sostenere, del consolare… insomma, la parola per sua stessa natura è dinamica. Anche quando si trasmette la Parola che era “fin dal principio”, essa è ancorata al Logos cioè alla persona del Figlio di Dio che attraversa i tempi e le culture per entrare in relazione personale con chiunque, nessuno escluso.
Il secondo tratto che emerge dal testo è la considerazione circa lo “stile di vita” dei “capi”. Il loro comportamento (anastojh) è coerente con l’annuncio della Parola; non solo per un momento della vita, ma fino alla fine. C’è un’arte dell’accompagnamento che è scolpita nello stile di vita di chi accompagna. L’accompagnatore, quindi, deve essere espressione di vivere all’ombra della Parola di Dio, perché segna la sua esistenza come spazio vivo che crea la forma del discepolato. L’esempio di passare lungo tempo nell’ascolto, nella meditazione, nello studio della parola di Dio non è un esercizio transitorio, ma impegno di vita che modella l’esistenza fino a renderla trasparente nell’azione dell’esistenza quotidiana.
Se quanto detto finora tocca in modo speciale la persona dell’accompagnatore, un altro versetto di questo stesso capitolo della Lettera agli Ebrei, fa emergere in maniera forte lo stile di chi è accompagnato: “Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi e devono renderne conto, affinché lo facciano con gioia e non lamentandosi. Ciò non sarebbe di vantaggio per voi” (Eb 13,17). Obbedire ed essere sottomessi non è un’azione passiva del giovane che viene accompagnato, ma un esercizio di libertà. All’autorevolezza che accompagna chi guida, corrisponde l’obbedienza di chi si affida. E’ interessante osservare che la stessa espressione viene usata da Luca quando parla di Gesù dodicenne che dopo essersi sottratto per tre giorni a Giuseppe e Maria, tornò a Nazareth e “stava loro sottomesso” (Lc 2,51). L’obbedienza cristiana non trova altro fondamento se non l’obbedienza di Cristo. Il comportamento di Gesù è fatto di ascolto e obbedienza docile e convinta al Padre. Questa è normativa per ogni altra forma di obbedienza che è richiesta nella Chiesa. Gesù non obbedisce alla sua “coscienza” né alle sue “convinzioni”, come facilmente obiettiamo noi oggi. L’obbedienza del Figlio di Dio è frutto dell’amore e sua conseguenza. Non si dimentichi, tuttavia, che per gli scritti neotestamentari l’obbedienza è rivolta alla verità; ciò che si richiede, pertanto, è l’obbedienza al Vangelo che è parola di verità. Non ci si allontana molto, affermando questo, da quanto si è precedentemente detto circa l’incontro con la Parola di Dio. L’obbedienza a chi accompagna è solo una mediazione, perché di fatto è obbedienza alla Parola di Dio e sottomissione alla sua volontà. Non si potrebbe comprendere tutta questa tematica fuori dall’orizzonte dell’amore: “Non c’è assolutamente nulla nella Chiesa –nemmeno il rapporto tra comando e obbedienza- che possa svolgersi fuori dall’amore” (H.U. von Balthasar, “Cristologia e obbedienza ecclesiale”, Saggi IV, 129). L’obbedienza come espressione della responsabilità personale di chi sa rinunciare a qualcosa in vista della libertà, è la condizione della crescita personale nella fede e nella vita del discepolato. Ecco perché chi guida dovrà essere capace di vigilare; cioè di seguire in modo discreto e nel rispetto delle scelte che vengono compiute per essere sempre capace di un accompagnamento frutto dell’amore che educa, più che di un geloso possesso delle proprie convinzioni e della persona che è sempre posta dinanzi a Cristo e a nessun altro.
La preghiera, rimane a questo punto, il richiamo decisivo perché le due persone in gioco possano essere consapevoli del grande dono che viene reciprocamente fatto nell’orizzonte dello Spirito che guida i passi di ambedue.
Certo, l’esempio di Paolo è sconvolgente. Riprendere tra le mani il suo testamento fa toccare con mano la sua convinzione che nonostante l’esistenza contraddittoria, Dio aveva scelto proprio lui: “Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù… (egli) è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (1 Tm 1,12-16). Permettere di cogliere la “magnanimità” di Dio, cioè la sua straordinaria generosità nei miei confronti, perché nonostante la mia debolezza e contraddizione ha scelto me per annunciare il suo Vangelo.
L’orizzonte vocazionale, pertanto, rimane come lo sfondo su cui agire per verificare la grandezza di un percorso verso il quale incamminarsi per raggiungere l’obiettivo della conquista. E’ ciò che permette di scoprire che Dio ha bisogno di me. La vocazione, dopotutto, non si fonda previamente sulle qualità che si possiedono; forse, si dovrebbe dire proprio il contrario: la corrispondenza alla vocazione consente di dare valore e sostegno a quanto si è. Aiutare a scoprire il primato di Dio nella nostra vita e la forza della sua grazia diventano lo strumento mediante il quale giungere con consapevolezza a orientare la propria esistenza. Una vocazione, dopotutto, non è mai un’improvvisazione; essa, piuttosto, è la scoperta di un progetto che viene da lontano e del quale, forse, per distrazione non ero ancora consapevole. Dovremmo ripetere con Paolo: “quando Dio, che mi mise a parte (ajorisaV) fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia” (Gal 1,15). Cogliere la presenza perenne e costante di Dio nella mia vita è il servizio basilare che chi accompagna deve ritenere come sua responsabilità personale. Tu fai parte di un progetto di Dio all’interno del quale scopri la tua dignità personale per la realizzazione della tua esistenza.
Conclusione
Le considerazioni fatte portano di nuovo al Documento preparatorio, che può a buon diritto essere assunto come conclusione: l’annuncio del Vangelo richiede la capacità di farlo entrare nella cultura, veicolo essenziale per comunicare. Esiste una “cultura giovanile” che ha bisogno di essere evangelizzata (cfr. III,1), attraverso l’entusiasmo di quanti sono chiamati a far emergere nel cuore dei giovani il desiderio dell’incontro con Gesù Cristo e la forza dell’amore che trasforma.
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